Svizzera

I lavoratori con permesso di soggiorno di breve durata aumentano sempre di più in Svizzera. Si tratta soprattutto di prestatori d’opera con un permesso valido al massimo un anno (permesso L) e di persone autorizzate a soggiornare fino a 90 giorni senza alcun obbligo di permesso.

Un articolo di Samuel Jaberg, recentemente pubblicato sul portale Swissinfo, ci offre lo spunto per parlare di un tema poco dibattuto nella sfera pubblica elvetica: la presenza ai giorni nostri di un gran numero di lavoratori e lavoratrici stagionali in Svizzera.

 

I numeri
Il numero di permessi e autorizzazioni di lavoro destinati a stranieri è in costante aumento a partire dall’inizio del nuovo millennio. Secondo le statistiche della Segreteria di Stato della migrazione (Sem), nel 2017, ha raggiunto le 403.145 unità. La maggior parte di questi sono di breve durata: semplici autorizzazioni (248.146), rilasciate per prestazioni d’opera inferiori ai 90 giorni, oppure permessi di durata inferiore a un anno (86.929). Secondo il giornalista sono numeri che fanno parlare di un ritorno del lavoro stagionale. È davvero così?

 

Libera circolazione
L’articolo mette in correlazione questi numeri con l’introduzione della libera circolazione. In effetti, per Alessandro Pelizzari, segretario regionale di Unia, attivo a Ginevra, «l’accordo di libera circolazione non corrisponde soltanto agli interessi sindacali ma anche a quelli padronali: se da una parte ha contribuito a stabilizzare una fetta dei lavoratori stranieri, dall’altra ha aperto a nuove forme di precarietà per altri». Sempre secondo Pelizzari, comunque, «la responsabilità non è dell’accordo, ma dei padroni, che sfruttano i flussi per i loro interessi particolari».
Per Pelizzari il principio definito da Unia durante la campagna contro l’iniziativa dell’Udc del 2014 contro l’immigrazione rimane valido: «Proteggere le condizioni di lavoro e non le frontiere». Questi numeri vanno inoltre letti con dei distinguo: secondo Serge Gnos, responsabile del settore edile di Unia, «le autorizzazioni di breve durata sono spesso concesse a lavoratori distaccati di aziende straniere la cui condizione è ben lontana da quella dei lavoratori stagionali».

 

Le soluzioni
Anche per Marília Mendes, che si occupa specificamente di migrazione all’interno di Unia, la responsabilità è da attribuirsi all’abuso dei contratti temporanei da parte dei datori di lavoro e non certo alla libera circolazione. Per questo, afferma Mendes, occorre introdurre regole che limitino il ricorso a permessi di soggiorno di breve durata: «In tal senso esistono accordi bilaterali tra Svizzera e alcuni paesi europei, come Portogallo e Italia, che però non sempre vengono rispettati». Secondo Pelizzari, inoltre, è necessario superare il pregiudizio secondo cui i lavoratori temporanei sono impossibili da organizzare: «Lo abbiamo dimostrato con i lavoratori polacchi temporanei sul cantiere di Ginevra qualche tempo fa. Abbiamo fatto capire loro che un salario inferiore ai 10 franchi non è nemmeno concepibile in Svizzera e hanno incrociato le braccia».

 

I settori coinvolti
Il settore edile è tra i più esposti al lavoro temporaneo proveniente dall’estero. In alcuni casi, come dicevamo, si tratta di lavoratori distaccati di aziende estere retribuiti secondo le regole, che approfittano del soggiorno svizzero per aumentare gli introiti o acquisire nuova esperienza. In altri, come nel caso dei lavoratori polacchi, si tratta di vere e proprie vittime di abusi. Anche nel settore alberghiero e della ristorazione si fa ampio ricorso alla manodopera straniera proveniente soprattutto da Germania, Italia, Francia e Portogallo. Secondo i dati riportati dall’articolo sopramenzionato, il 44% dei lavoratori del settore è straniero e più di due terzi hanno un permesso di soggiorno di breve durata.


L’agricoltura
La situazione in agricoltura, un settore in cui il sindacato Unia non è molto radicato, è abbastanza preoccupante. In alcuni cantoni, infatti, «il livello salariale è scandaloso», come afferma Rudi Berli, presidente del sindacato dei contadini Uniterre.
Il settore agricolo svizzero si poggia sui lavoratori europei che sono tra i 30.000 e i 35.000, per la maggior parte stagionali. Nel Canton Vallese, ad esempio, questi lavoratori sono spesso pagati il minimo sindacale: 13 franchi all’ora. Un settore, quindi, molto problematico, in cui non sono mancati, negli ultimi anni, veri e propri abusi.

 

Due storie ticinesi
Il 23 ottobre 2014 veniva data la notizia di un incidente mortale in Val Colla. Un trattore si era ribaltato schiacciando letalmente il suo guidatore. Il bracciante di origine macedone si chiamava Vane Milcev. Nell’estate del 2016, invece, un escursionista ha trovato nella Valle Onsernone un pezzo di gamba putrefatto. Settimane dopo la polizia identifica la vittima, un bracciante macedone di 57 anni, assunto in nero su un alpeggio. Si tratta di Koljo “Nikola” Hadjievski, il cui cadavere non verrà mai ritrovato per intero. Il secondo dei due tragici eventi ha segnato le cronache ticinesi per mesi.

 

Una docufiction radiofonica
Daniel Bilenko e Alessio Sturaro, rispettivamente giornalista e tecnico della Rsi, sono andati oltre la cronaca e hanno confezionato una tetralogia radiofonica, che ha avuto il merito, non solo di restituire dignità alla storia dei due lavoratori macedoni, ma anche di far emergere un forte legame tra l’agricoltura ticinese e i lavoratori macedoni. Sono infatti centinaia i lavoratori provenienti dalla Macedonia che operano nel Locarnese. I documentari radiofonici, intitolati “Resto umano” (vincitore del Premio di Giornalismo della Svizzera italiana), “Passo dopo passo”, “Requie” e “Di Persona”, sono tuttora disponibili all’ascolto, insieme a materiale esplicativo, sul sito di Rete Uno.

Pubblicato il 

05.12.18
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