I diritti umani non si fermano al confine

Difesa della democrazia diretta, rafforzamento della sovranità svizzera e della libertà di decidere autonomamente senza alcuna ingerenza da parte dei cattivi “giudici stranieri”. È con slogan di questo tipo, cioè con affermazioni false e ingannevoli, che l’Udc cerca di conquistare consenso attorno alla sua iniziativa popolare detta “per l’autodeterminazione” in votazione il prossimo 25 novembre. Un’iniziativa che per onestà andrebbe definita “per l’autodistruzione”, perché una sua accettazione produrrebbe un indebolimento generalizzato dei nostri diritti fondamentali di cittadini e di lavoratori e minerebbe la nostra democrazia.

 

Il primato generale della Costituzione e delle leggi svizzere sul diritto internazionale previsto dall’iniziativa equivale infatti in buona sostanza ad una messa in discussione dei “diritti umani”, cioè dei diritti della persona alle libertà fondamentali civili, politiche, sociali, economiche e culturali. Diritti universali che appartengono a ogni essere umano in quanto tale (senza distinzione di razza, di colore di pelle, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione) e che pertanto sono inviolabili e indisponibili: nessuno ne può essere privato e nessuno può rinunciarvi, nemmeno volontariamente.


All’Udc questo non va giù perché vorrebbe avere mani libere per portare avanti le sue rivendicazioni tese a rimettere in discussione i diritti di una o dell’altra minoranza, di una o dell’altra categoria di cittadini: la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e l’omonima Corte europea, che tutelano le persone da questo genere di attacchi, sono considerate elementi di disturbo e pertanto sono entrate nel mirino dell’Udc e della sua iniziativa.


Un’iniziativa che spianerebbe la strada non solo a una politica sempre più ostile e discriminatoria nei confronti delle minoranze (prospettiva inquietante), ma anche a pesanti attacchi contro i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che sono pure parte integrante dei diritti umani. Si pensi alla libertà di riunione e di associazione garantita dalla Cedu e dal diritto internazionale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), da cui discendono il diritto di fondare un sindacato e di aderire liberamente a un’organizzazione di lavoratori di propria scelta, il diritto di difendere gli interessi di una categoria professionale tramite l’azione collettiva, il diritto di organizzarsi all’interno delle aziende, la protezione dai licenziamenti anti-sindacali, il diritto dei sindacati di accedere ai luoghi di lavoro e di consigliare i dipendenti, così come la protezione dei cosiddetti “whistleblower”, cioè quelle persone che coraggiosamente segnalano e denunciano comportamenti irregolari o illegali di cui sono venute a conoscenza nell’ambito della loro attività lavorativa.


I diritti umani non possono per definizione fermarsi alle frontiere di un paese. Alle nostre a maggior ragione, visto che la Svizzera non ha una Corte costituzionale che possa intervenire nei casi in cui delle leggi federali violino le nostre libertà derivanti dai diritti fondamentali. Proprio per questo la nostra Costituzione che ora l’Udc vuole cambiare definisce come “determinante” il diritto internazionale, riconoscendogli così una sorta di “ruolo protettore”. Ed è per questo che al Tribunale federale è attribuita la libertà di sviluppare la propria giurisprudenza tenendo in considerazione sia il diritto nazionale sia quello internazionale. Una libertà che ora l’Udc vorrebbe abrogare con la sua iniziativa non certo “contro i giudici stranieri” ma contro i giudici svizzeri.


La Svizzera diventerebbe forse più “democratica” se potesse per esempio decidere la reintroduzione della pena di morte nel codice penale? Certamente no.

Pubblicato il

08.11.2018 16:37
Claudio Carrer
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