Gli strumenti dei miei ragazzi

Non è facile fare il docente. Tante volte lo si sente dire. E spesso lo si vive sulla propria pelle.
Ma, nello stesso tempo,  è anche molto bello fare il docente!
Questo a prescindere (come dicono i miei allievi), cioè nonostante il  mancato riconoscimento sociale del ruolo del docente, nonostante sia opinione comune che le nuove generazioni abbiano meno interessi di quelle che le hanno precedute (affermazione che non condivido), nonostante la frequente latitanza delle famiglie nei processi educativi. E l'elenco potrebbe continuare a lungo.
Recentemente per me, a tutto ciò, si è aggiunto un malessere nuovo, davvero fastidioso.
Un malessere strettamente legato al fatto di essere, e quindi di insegnare, qui e adesso. In Ticino, nel 2012.
E ancora una volta non sono le "magagne"  della scuola ticinese a farmi vivere questo malessere. Non sono cioè i troppi allievi per classe, i salari bassi, la cassa pensione messa pesantemente  in discussione, il taglio del 2 per cento dei salari, ecc., ecc. (tutti assolutamente concreti e altrettanto assolutamente inaccettabili) a causare questo stato di cose.
E' qualcosa di molto più impalpabile, ma almeno altrettanto preoccupante.
Quali sono i valori, l'etica dell'agire sociale di questa nostra società? Esiste ancora un bene comune in Ticino, superiore a tutto, per il quale valga la pena di sacrificare qualcosa di personale? Siamo ancora capaci di vedere oltre l'immediato e personale (o di bottega!)  tornaconto? Dove è finito il Ticino fucina e luogo privilegiato di sperimentazioni e di futuro? Insomma: che Paese stiamo diventando o forse siamo già diventati? Non siamo forse stati "inquinati" un po' troppo dall'arietta stagnante, di berlusconiana memoria, della vicina Repubblica?
Troppi gli episodi che sono sotto gli occhi di tutti. Episodi che non ho lo spazio sufficiente per elencare e considerare come meriterebbero. Episodi che mi fanno dire che siamo pericolosamente vicini ad una situazione mai vissuta in precedenza, forse addirittura ad un punto di rottura.
Ed è difficile insegnare in un Paese così. Credetemi! E' difficile proporre ai nostri giovani di imparare a camminare con le proprie gambe in un Paese ormai circondato da una simile ragnatela di interessi, di legami, di  legacci, di connivenze, di inversione di ruoli, di superficialità, di volgarità, di scarso rispetto umano, di disinformazione, e di molto altro ancora.
Perché, come docente, ho scelto e praticato il tentativo di mettere a disposizione delle mie ragazze e dei miei ragazzi strumenti positivi, strumenti in grado di permetter loro di affrontare la realtà con competenza, curiosità,  ottimismo, fiducia, onestà e correttezza.
Ma che senso ha proporre oggi, in un mondo sempre più dominato dai furbi e da quelli che non si indignano mai, da quelli che godono della loro beata ignoranza, la competenza rigorosa, l'ottimismo, la fiducia, la curiosità, l'onestà, la correttezza?
Non li sto forse imbrogliando, queste mie ragazze e questi miei ragazzi, tentando di  offrir loro strumenti inadeguati per il qui e adesso?
Io però non sono capace e non voglio offrire loro nient'altro!

Pubblicato il

09.11.2012 13:30
Anna Biscossa
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