Lasciamo da parte la questione dei diritti umani. Non per un improvviso attacco di cinismo, ma per il senso di vergogna che si prova ogni volta che è l’Europa a parlarne, poiché ci sono situazioni che imporrebbero di fare chiarezza prima di tutto in casa nostra: dalle carceri pretoriali di Bellinzona al pattugliamento del Mediterraneo con navi da guerra per respingere i poveracci che cercano qualche diritto in più sulle nostre sponde, alla consegna, qualche anno fa, di Ocalan ai servizi segreti turchi da parte del governo italiano di centrosinistra. Gli oppositori politici continueranno ad affollare le carceri di quel paese nonostante il premio Sakharov attribuito il 15 ottobre scorso alla deputata curda Leyla Zana. Parliamo perciò di agricoltura. La Turchia in questo ambito è autosufficiente. Il suo settore agricolo produce grosso modo in quantità bastante a soddisfare il consumo interno. E questo all’Europa non va bene. Nelle discussioni sull’adesione all’Unione europea è emerso che ciò costituisce un ostacolo nel percorso di avvicinamento. La Francia, che sembra parlare a nome degli altri membri dell’Unione, ha fatto sapere che la Turchia dovrà aprire il suo mercato interno alle esportazioni agricole europee e ridurre drasticamente il numero degli addetti all’agricoltura. Si avvierà così un colossale processo di inurbamento, con un tasso di disoccupazione a due cifre: il territorio di caccia ideale per le imprese transnazionali. La Turchia dovrà diventare insomma un paese europeo normale, con le banche ricche e la popolazione povera. In una breve intervista trasmessa durante il notiziario Rsi nei primi giorni di ottobre, l’intervistatrice domandava alla responsabile dell’Onu per la distribuzione di alimenti nelle situazioni di crisi se venissero eventualmente offerte derrate alimentari contenenti organismi geneticamente modificati. La risposta era affermativa. È vero – continuava l’intervistatrice – che alcuni di quei paesi rifiutano gli aiuti alimentari se contengono Ogm? Sì, rispondeva la funzionaria. E che cosa succede – insisteva l’intervistatrice – in questi casi? E la funzionaria: noi siamo solo distributori degli aiuti: in questi casi facciamo capo a derrate senza Ogm. L’impressione che si ricavava era che la giornalista Rsi fosse convinta che esistono paesi poveri ma schizzinosi che si permettono il lusso di rifiutare gli alimenti contenenti Ogm generosamente offerti dai paesi occidentali per lottare contro la fame nel mondo. Ci si dovrebbe ricordare che le imprese agroalimentari hanno tre obiettivi fondamentali: 1) fare profitti; 2) fare profitti; 3) fare profitti; e che il loro attivismo (offrire cibo a un prezzo inferiore a quello prodotto localmente, rovinando così il sistema agricolo di quei paesi) ha lo scopo di fare in modo che in Africa e in Asia cessi quella fastidiosa produzione agricola che serve all’autoconsumo e permette ancora a molti popoli di sottrarsi al business alimentare. Il progetto delle imprese transnazionali e dei governi che le assecondano è di trasformare tutto il mondo in un mercato funzionale ai loro interessi. A questo punto sorge spontanea una domanda: l’economia serve a cercare di dare a tutti, nei limiti del possibile, un po’ di benessere, o è invece una scienza diabolica che ha per scopo di impoverire la maggioranza degli esseri umani?

Pubblicato il 

12.11.04

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