Società

Il razzismo, la xenofobia e la discriminazione sono fenomeni difficilmente quantificabili in termini numerici esatti, ma si possono comunque osservare delle tendenze nel corso degli anni. Questo vale in particolare per il razzismo su internet, conosciuto anche con il termine di “discorsi d’odio” (o “hate speech”) e che negli ultimi 15 anni ha visto un forte incremento, o almeno questa è la sensazione, e anche il Consiglio federale nel rapporto pubblicato a maggio 2017 sul quadro giuridico per i social media ha descritto la situazione così: “Negli ultimi anni il problema dei messaggi d’odio, incendiari, razzisti e discriminatori sui social network si è considerevolmente aggravato”.


In realtà non si può dimostrare in modo empirico questa situazione, perché mancano sufficienti statistiche al riguardo, ma Martine Brunschwig Graf, presidente della Commissione federale contro il razzismo (Cfr) spiega che: «Come osservatori pragmatici possiamo però seguire ciò che si verifica nelle reti sociali o in internet più in generale, e constatare che lo spazio virtuale induce gli utenti a esprimersi molto liberamente, talvolta senza freni, e che l’anonimato favorisce questa tendenza». Insomma, grazie a internet e alle reti sociali (o social network) tutti dispongono di spazi in cui esprimersi con facilità e rendere visibili i propri messaggi a un pubblico molto vasto, sia nel bene che nel male. I media elettronici sono infatti utilizzati anche per veicolare l’odio e la discriminazione razziale o messaggi ambigui che incitano all’esclusione sociale e alla denigrazione di persone e gruppi di persone vulnerabili. A questo proposito, la Cfr rende attenti anche alla diffusione delle cosiddette “fake news” per manipolare l’opinione pubblica, un fenomeno che può contribuire ad amplificare i sentimenti di rifiuto e/o odio verso gruppi di persone considerati “diversi”.


Cosa si può fare contro questo fenomeno? A livello legislativo vige la norma penale contro la discriminazione razziale (art. 261 bis del Codice penale svizzero), una norma che esiste da 20 anni e che permette di punire l’istigazione al razzismo, la discriminazione razziale e la negazione di genocidi. Internet non è un porto franco dove tutto è permesso, l’istigazione al razzismo e la discriminazione razziale sono vietate anche su Facebook, Twitter e gli altri social media. Contro i commenti razzisti si può dunque fare qualcosa, per esempio denunciarli alla polizia, ai ministeri pubblici o a fedpol (vedi box). Brunschwig Graf precisa che in ogni caso: «Non tutti i commenti pubblicati in rete hanno una rilevanza penale, ma molti di essi possono essere offensivi e quindi sono inaccettabili».


Quali sono le possibilità che una persona venga effettivamente punita in caso di commenti razzisti nel web? Lo scorso anno in Ticino, ad esempio, in occasione della morte di una giovane eritrea, alcuni utenti di Facebook hanno commentato la notizia con post razzisti e discorsi di odio. Altre persone, indignate, hanno denunciato la cosa e c’è effettivamente stato un decreto d’accusa. Ma è sempre così automatica la condanna? Guardando le statistiche, la Cfr, tra il 1995 e il 2016, ha recensito 948 casi di denuncia alle autorità per violazione della norma antirazzista (non solo su internet). In quasi la metà delle decisioni (303), le autorità inquirenti hanno deciso, dopo un esame sommario dei fatti, il non luogo a procedere, l’abbandono della procedura o la non entrata in materia. Per gli altri 645 casi si è invece entrati nel merito della denuncia giungendo a una sentenza passata in giudicato: in 58 casi c’è stata un’assoluzione degli imputati, mentre in 573 casi gli imputati sono stati condannati per discriminazione razziale. Focalizzandosi sui mezzi utilizzati per le aggressioni a sfondo razzista, si può notare che sono le esternazioni verbali e scritte, seguite dalla diffusione di materiale razzista, quelli più utilizzati. La voce “comunicazione elettronica” rappresenta il 12% delle denunce (173), con cifre piuttosto fluttuanti negli anni e una tendenza all’aumento (che però potrebbe essere dovuta anche alla maggiore diffusione di questo mezzo). In questo caso, le decisioni formali sono state 25, le sentenze di condanna 136 e le assoluzioni 10, mentre in 3 casi c’è stato un rinvio all’autorità inferiore.


Secondo la Cfr però, la sanzione e il divieto non sono le uniche opzioni per lottare contro questo fenomeno (visto che comunque non tutti i messaggi offensivi hanno una rilevanza penale): «È fondamentale agire in via preventiva e riteniamo che questo lavoro di prevenzione debba essere potenziato. In quest’ambito l’educazione riveste un ruolo cruciale: quattro giovani su cinque fra i 12 e i 19 anni utilizzano quotidianamente le reti sociali e nove su dieci vi hanno un profilo personale. È quindi necessario educare le giovani generazioni al valore di un’informazione attendibile e di fonti affidabili e insegnare loro a riconoscere i tentativi di manipolazione. Il razzismo è un problema da prendere sul serio». Il messaggio della Cfr è chiaro, la lotta va condotta sul terreno, nelle scuole, in internet e nelle reti sociali. Non bisogna lasciare che i discorsi di odio monopolizzino il dibattito pubblico.


Uno dei problemi principali è che chi è toccato da crimini di odio e altri delitti penali sulle reti sociali ha spesso le mani legate in quanto gli operatori delle reti sociali si trovano principalmente all’estero, ciò che rende molto difficile, se non impossibile, l’accesso ai dati incriminati. Per ovviare a questa anomalia, lo scorso venerdì la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha depositato una mozione di commissione secondo la quale il Consiglio federale è invitato a fare in modo che gli operatori di social network dispongano di una rappresentanza in Svizzera, abilitata a trasmettere direttamente alle autorità penali svizzere i dati necessari a una procedura giudiziaria, senza dover far capo all’assistenza penale internazionale.

 

Come reagire


L’istigazione on-line al razzismo e alla discriminazione razziale è punibile alla stessa stregua di quella off-line. I commenti razzisti in internet non devono essere accettati senza reagire. Chiunque può intervenire e contribuire a tenere pulita la rete. Cosa si può fare?
• È possibile rispondere a tono a chi posta commenti razzisti.
• I commenti razzisti possono essere denunciati alla polizia o ai ministeri pubblici.
• I commenti razzisti possono anche essere segnalati all’Ufficio federale di polizia fedpol. Per segnalare contenuti sospetti compilare l’apposito modulo di comunicazione che si trova sotto la rubrica “cybercrime”. Gli specialisti esamineranno i dati da voi trasmessi e provvederanno ad adottare le necessarie misure e a inoltrare il caso alle autorità competenti. Le risorse a disposizione di fedpol per svolgere questo compito sono tuttavia limitate, per cui si ottiene spesso un effetto maggiore denunciando un caso direttamente alle autorità di perseguimento penale.

Pubblicato il 

29.03.18
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