I motivi portanti delle polemiche sono sovente capziosi e univoci, corrono su binari paralleli a favore d'interessi trasversali. Non sempre si capiscono i retroscena che le generano, né si percepiscono i loro veri intenti. Anzi, talvolta, si ha l'impressione che il loro unico scopo è suscitare scompiglio, allarmismo ed emozioni, cavalcando le abituali ansie della gente comune. Gli ideatori di polemiche giocano inoltre spesso e volentieri sull'ignoranza o sulla parzialità delle informazioni a cui fanno riferimento. E con estrema abilità, i polemisti (improvvisati o di professione, poco importa) riescono sovente ad imbrogliare la matassa della verità, al punto tale che essa (la verità!) si trova completamente adombrata, senza riuscire ad emergere. Persino i cittadini con le migliori intenzioni di questo mondo, in simili situazioni, sono disorientati e privati della normale capacità di discernimento.
Nella nostra società "aperta", grazie alla rapidità della loro diffusione tramite i mezzi di comunicazione, le polemiche sono diventate uno strumento di gestione corrente degli affari pubblici. Le questioni personali, in specie se considerate scabrose, non sono più trattate con la dovuta discrezione e nella riservatezza degli ambiti privati o familiari, bensì diventano subito di comune dominio. Le lenzuola sporche si lavano in piazza, non più nel chiuso delle lavanderie domestiche. L'opinione poi che un personaggio pubblico debba essere costantemente sottoposto ai riflettori, per via del controllo democratico sul suo agire, rischia di divenire un pretesto per sbandierare qualsiasi sospiro o un suo accenno di parola. Ma nemmeno questo è, in fondo, un modo di fare sano e costruttivo per la collettività. L'agorà politica ne è un esempio lampante, anche alle nostre latitudini, con esponenti eccellenti (per qualità umane e competenze tecniche) martoriati dai tiri incrociati dei soliti falchi, a rischio di esaurimento nervoso o di abbandono coatto del posto di responsabilità occupato a causa delle campagne denigratorie subite.
Un altro caso recente di esagerazione di un fenomeno, di per sé complesso, è quello della presenza di persone straniere, soprattutto di colore, a Lugano e, ancor più in particolare, nel quartiere di Besso. Da anni oramai anche rappresentanti della pubblica autorità cavalcano la cresta dell'onda dello spaccio di sostanze stupefacenti (un problema reale, che colpisce tanti nostri cittadini, a cominciare dai più giovani, oltre che i consumatori provenienti da oltre confine) per fare il classico fascio da ogni erba. Il risultato è che l'africano di turno è considerato un potenziale spacciatore, perciò guardato con sospetto e magari segnalato alla polizia. Anche qualora non avesse nulla a che fare con il mondo della droga, il rischio che subisca controlli (magari pure con una dose di botte: ne sono stati segnalati diversi casi, nelle ultime settimane) è ben maggiore rispetto a qualunque altro abitante o passante della zona. La verità è che non si considerano le situazioni per come si presentano, mentre sempre di più il colore della pelle diventa un'etichetta di vergogna indelebile. 

Pubblicato il 

28.11.08

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