Lavoro e dignità

L’articolo «La sicurezza e gli infiltrati targati Unia» sul caso Argo 1 pubblicato mercoledì 18 ottobre dal Corriere del Ticino (Cdt) ha suscitato clamore non per le “rivelazioni” contenute, ma per le critiche alle violazioni al codice deontologico dei giornalisti. Due le obiezioni principali: la pubblicazione in prima pagina e nell’articolo del nome di uno dei numerosi ex agenti che hanno semplicemente testimoniato in Procura gli abusi di cui erano vittime sul posto di lavoro alla Argo 1 e, in secondo luogo, averli definiti degli “infiltrati” di Unia, insinuando così la tesi di un piano diabolico del sindacato nello scandalo Argo.

 

Unia ha definito gravi le insinuazioni del Cdt, spiegando di non usare gli infiltrati, ma di combattere la criminalità. Per l’agente sbattuto in prima pagina invece le conseguenze sono state pesanti. Renato Bernasconi, il Capo Divisione del Dss al centro dello scandalo, ha inviato una mail al nuovo datore dell’ex agente Argo 1 scrivendo: “ti chiediamo di non voler impiegare presso la Cpi di Camorino il vostro agente XXXX», con il risultato che quest’ultimo si è ritrovato sospeso dal suo nuovo impiego. Oltre alla sospensione, l’ex vittima di reati presso la Argo 1 ha ricevuto la visita della Polizia a casa, incaricata di verificare la sua effettiva residenza dopo che il Cdt aveva scritto che abitava in Italia. La successiva indignazione generale alla notizia della sospensione dell’agente ha in breve tempo consentito il suo reintegro al posto di lavoro.

 

area vi propone l’intervista a Fabio Pontiggia, direttore del Corriere del Ticino, sulle scelte editoriali che hanno spinto la testata a pubblicare quell’articolo. Specifichiamo che l’intervista è stata realizzata prima della novità della sospensione dell’agente il cui nominativo era stato pubblicato in prima pagina.

 

Per chi dovesse necessitare informazioni sullo scandalo Argo 1, lo invitiamo a leggere gli articoli correlati qui a lato.

 

 

Direttore Fabio Pontiggia, qual è l’interesse pubblico nello scrivere nell’articolo (e in prima pagina) il nome di un agente di sicurezza che con la sua denuncia, unitamente ad altri numerosi colleghi, ha testimoniato in Procura dei reati di cui era vittima sul posto di lavoro?


Si può discuterne. È una valutazione che i nostri giornalisti hanno fatto, ritenendo che non vi fosse nulla che sconsigliasse la pubblicazione del nome. L’interesse pubblico della vicenda ha consigliato la pubblicazione. Nel rispetto delle leggi, naturalmente.


Questa scelta redazionale rischia però di produrre delle dinamiche. Le organizzazioni sindacali hanno più volte segnalato le difficoltà nel convincere i lavoratori a denunciare gli abusi, viste le possibili ritorsioni. Trovarsi il proprio nome sbattuto in prima pagina non contribuisce alla denuncia degli abusi.


Questo è giusto, è molto comprensibile e vale nella cronaca di tutti i giorni, per la normalità. Il caso Argo 1 è invece eccezionale e va quindi trattato dal profilo giornalistico in maniera diversa.


Nell’articolo, oltre al nome, sono stati resi pubblici altri aspetti personali: il suo attuale datore di lavoro, dove abita, quale tipo di permesso ecc. L’impressione è che si volesse capovolgere i ruoli: chi ha denunciato degli abusi sul posto di lavoro, diventa il colpevole.


No, questo lo contesto fermamente. Se qualcuno ha avuto questa impressione, è sbagliata: garantisco che non era assolutamente l’intenzione dei nostri giornalisti.


Resta il fatto che avete pubblicato il nome di un semplice cittadino.


Ribadisco: il caso Argo 1 è eccezionale. Il nome di uno dei due associati era già stato fatto; non vedo alcun motivo per pubblicarne uno e tacerne un altro. Sono due situazioni assolutamente paragonabili, ripeto, nel contesto eccezionale dello specifico caso Argo 1.


Il primo ha scelto di uscire pubblicamente, il secondo no. E nell’articolo viene dipinto come la mente e l’altro il braccio.


Queste sono valutazioni, interpretazioni, giudizi, e in quanto tali opinabili.  


Le dico questo perché il Corriere ci aveva abituati a uno stile rigoroso e corretto, ma in questo caso sono fioccate numerose critiche, soprattutto dal punto di vista deontologico.


Ritengo infondate queste critiche. Si può opinare su un’analisi giornalistica, non sui fatti ; dal profilo deontologico le critiche, formulate in termini indecenti come quelle provenienti dalla Rsi, le rispedisco al mittente.  


Definire infiltrati dei lavoratori affiliati al sindacato che denunciano dei reati subiti sul posto di lavoro, la giudica un’informazione corretta?


Abbiamo usato due termini, “controllori sindacali” nel lancio in prima pagina e “infiltrati” nel titolo dell’articolo. È legittima la critica. Eccessivo il secondo termine? È opinabile. Non era intenzione dei giornalisti né della testata colpire il lavoro che gli associati di Unia svolgono quotidianamente, in certi casi, in situazioni difficili. Questo come norma generale. Ma ripeto, il caso Argo 1 rappresenta un’eccezionalità per le implicazioni politiche e quindi va trattato diversamente. La trasparenza va fatta su tutti i fatti, non solo su alcuni.


Quale direttore del Corriere, vuol dire qualcosa da queste colonne ai 22.000 salariati iscritti a Unia che si sono sentiti offesi dal termine “infiltrati”?


Certo. Non è assolutamente in discussione il ruolo degli associati di un sindacato, che hanno una funzione importantissima nel contesto attuale di un mercato del lavoro più aperto, più competitivo, dove ci sono anche casi di slealtà, di violazioni di leggi, delle norme amministrative, dei contratti. L’articolo è confinato a un caso eccezionale dai risvolti politici e anche penali piuttosto preoccupanti. Questo però non intacca di una virgola la piena legittimità di quanto svolto dagli associati di Unia a difesa di una corretta applicazione delle leggi e dei contratti sui posti di lavoro.


Si può dire che i termini controllori e infiltrati siano stati perlomeno infelici?


Controllori no, su infiltrati si può discutere. Se dall’esterno c’è l’impressione che sia stata calcata la mano in maniera arbitraria per colpire i 22.000 associati di Unia, si può capire, ma non è certo quello l’obiettivo del giornale.


Molti lettori vedono nella sua persona il garante della professionalità e della correttezza nel Corriere. A fine agosto, lei ha chiesto scusa ai lettori per la pubblicazione di una notizia fondata su della documentazione della polizia tedesca rivelatasi poi falsa. In primavera aveva sollevato molte critiche un articolo dell’amministratore delegato del Cdt Marcello Foa sulla presunta mobilitazione di 150.000 riservisti americani, mai confermata e definita una bufala da siti autorevoli. In questi giorni sono fioccate diverse accuse di violazione al codice deontologico nell’articolo sui presunti infiltrati di Unia ad Argo1.


Nel caso “Germania” le scuse erano un atto dovuto, perché l’articolo si fondava su una documentazione falsa. Nel caso dell’articolo di Argo 1 e Unia, tutti i fatti di cui abbiamo riferito sono confermati. Si contesta l’averli resi pubblici, ma questa è una valutazione di opportunità; non è contestabile il fatto in sé. La critica deontologica ci sta quando un giornale pubblica notizie non fondate. Non quando, in base a proprie valutazioni, rivela fatti veri.                

Pubblicato il 

26.10.17