Il caso

Duferco, la multinazionale dell'acciaio basata in Lussemburgo, ma con radici e centro d'interessi in Ticino, ha ricevuto 211 milioni di aiuti di stato illegali da parte delle autorità della Vallonia. Denaro pubblico che ora dovrà essere restituito al Belgio. Questo a seguito di una recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che, respingendo il ricorso della Duferco Participations Holding e della sua controllante BTB Investment Holding conferma una decisione presa dalla Commissione europea nel 2016.

 

Tutto inizia nel 1997. Il gruppo Duferco, insediato a Lugano dagli inizi degli anni ottanta, decide di puntare, oltre che sul commercio, anche sulla produzione dell'acciaio. Con l'aiuto della regione Vallonia, la multinazionale prende possesso di tre stabilimenti all'epoca in grande difficoltà finanziaria: quello di Clabeq, di La Louvière e di Carsid. Il miraggio, per le autorità locali, è quello di ridare slancio ad un settore siderurgico in forte crisi e garantire quindi posti di lavoro alla regione. Come vedremo, non sarà così.

 

Nel 2003, la Società vallone di gestione e partecipazione (Sogepa), una società anonima a capitale pubblico, detenuta al 100% dalla regione Vallonia, crea un fondo destinato ad investire nelle imprese straniere attive nel settore della acciaio, il Foreign Strategic Investment Holding (Fsih). Basato sull'isola anglo-normanna di Guernesey, tra il 2003 e il 2011, questo fondo effettuerà sei interventi a favore di filiali di Duferco per un totale di 517 milioni di euro. Una manna per il gruppo che, pur operando da Lugano, aveva stabilito il proprio cuore finanziario altrove: dapprima a Guernesey e poi, dal 2010, in Lussemburgo dove, tramite la holding Duferco Partecipations Holding (Dph), gestiva le proprie attività commerciali e produttive.

 

Le misure a favore di Duferco prese dalla Vallonia – prese di partecipazioni, prestiti, aumenti di capitali – creano interrogativi. Sono sleali nei confronti della concorrenza? Chi ci ha guadagnato? Le prime domande emergono nel 2011, a seguito di alcuni articoli pubblicati dal quotidiano Le Soir. Nel 2013 la Commissione europea non ha più scelta e apre un'inchiesta. La decisione arriva nel 2016: Duferco deve restituire 211 dei 500 milioni ricevuti. Secondo la Commissione, nessun investitore privato avrebbe accettato di impegnare i propri fondi alle stesse condizioni dell'Fsih. L'aiuto ricevuto, si legge nella decisione, "ha gonfiato artificialmente le entrate di queste imprese" e "ha solo ritardato gli adeguamenti di capacità, difficili ma necessari, dell'industria siderurgica vallone".

 

In effetti, nonostante i finanziamenti pubblici, gli stabilimenti di Duferco in Vallonia cessano gran parte della produzione di acciaio e chiudono, licenziando quasi tutti i dipendenti nel 2013. Alla faccia del rilancio della prestigiosa siderurgica vallone. Un fatto, questo, che all'epoca fu sottolineato anche dalla commissaria Ue per la concorrenza, Margrethe Vestager: "Nonostante gli aiuti illegali che ha ricevuto, Duferco ha praticamente cessato ogni attività in Belgio"disse la danese, sottolineando che "che gli aiuti di Stato che mantengono artificialmente a galla le imprese siderurgiche quando non sono più redditizie distorcono gravemente la concorrenza e non fanno altro che ritardare la loro uscita dal mercato a spese dei contribuenti".

 

A seguito della decisione, alcune società del gruppo Duferco hanno presentato tre ricorsi. Con la recente decisione della Corte di giustizia tutte le opposizione sono state respinte: la decisione del 2016 è quindi pienamente confermata. Il gruppo* controllato dal manager Bruno Bolfo e dal genero Antonio Gozzi, e gestito da una fitta rete di società offshore come raccontato da area in un recente articolo, dovrà quindi ora passare alla cassa.



*Nel 2014, la maggioranza della società di trading del gruppo Duferco – la Duferco International Trading Holding (Dith) - è stata acquisita dalla società cinese Hesteel Group. Basata in Lussemburgo, ma operativa da Lugano, la Dith non va confusa con la Dph, la holding sempre basata nel Gran Ducato e controllata dalla vecchia proprietà italiana. La Dph – che nel 2019 ha realizzato un utile netto di 94 milioni di dollari - mantiene una quota di minoranza nella Dith e gestisce altre società della piazza di Lugano attive nel trading (Dxt Commodities) e nel trasporto marittimo (Nova Marine Carriers).

 

Pubblicato il 

14.05.20
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