Drammatico aumento delle vittime del lavoro

Sono 1.173 le donne e gli uomini in Italia ammazzati da un lavoro sempre meno tutelato e sicuro nel 2015, il 16% in più rispetto all’anno precedente. È una preoccupante inversione di tendenza dopo alcuni anni “virtuosi” che avevano registrato un calo delle vittime; e sono aumentate anche le malattie professionali. Eppure, nello stesso periodo le denunce di infortuni sono diminuite.

Questi dati, al di là delle apparenze, non sono in contraddizione ma denunciano gli effetti nefasti della precarizzazione di massa che ingenera paura e costringe chi è vittima di un infortunio sul lavoro a subire ricatti e minacce di un padronato sempre più arrogante.


Ma gli omicidi bianchi sono più difficili da nascondere (anche se la creatività degli imprenditori consente di trasformare le vittime sul lavoro in morti casuali o provocate da altre ragioni), e dunque anche le statistiche devono tenerne conto.


Solo per fare un esempio, le cosiddette morti bianche che in realtà sono nere come il carbone sono doppie tra i voucheristi, lavoratori a ore affittati dai padroni con un buono acquistato in tabaccheria, senza coperture contrattuali e diritti, come malattia, maternità, indennità di disoccupazione, sciopero. I voucher, spesso attivati il giorno stesso dell’infortunio, sono usati per nascondere il lavoro nero. E c’è un’altra preoccupante inversione di tendenza: per la prima volta da decenni è diminuita l’aspettativa di vita che per di più continua ad avere un marcato segno classista, essendo decisamente più bassa per chi svolge mansioni pesanti.


Il primo bilancio effettuato dalla Cgil sulle conseguenze delle nuove leggi sul lavoro, capitoli di uno stesso volume titolato in americano Jobs Act, è decisamente negativo. In Italia, dopo un salasso di 800.000 posti di lavoro cancellati nel corso della crisi, gli occupati nelle più svariate forme sono 22,5 milioni, il 56,3% della popolazione attiva, il dato più basso in Europa con le sole eccezioni di Grecia e Croazia. Il numero dei posti di lavoro attivati smentisce i gorgheggi propagandistici del premier Matteo Renzi.


A fronte di un investimento di 6,1 miliardi di euro a favore delle imprese (incentivi e deduzioni Irpef, che diventeranno 8,3 e 7,8 miliardi nel 2017 e 2018) sono state trasformati 160.000 autonomi e finte partite Iva in contratti a tutela crescente (senza articolo 18) mentre i nuovi posti di lavoro effettivi sono 100.000, di cui appena 40.000 con contratti a tempo indeterminato. Se ne deduce che per ogni nuovo posto di lavoro il governo ha pagato ai padroni oltre 60.000 euro, il doppio del costo di un nuovo assunto nel settore pubblico, dove assunzioni e contrattazione sono bloccate da anni.


Per ripristinare almeno una parte dei diritti cancellati da un governo inginocchiato al cospetto del dio mercato e da un presidente del Consiglio schierato con Marchionne contro i sindacati, la Cgil ha deciso di raccogliere le firme per tre diversi referendum. Il primo per ripristinare l’art.18 dello Statuto dei lavoratori che garantiva il reintegro a chi aveva subito un licenziamento senza giusta causa, il secondo per la responsabilità solidale delle imprese negli appalti dove oggi la giungla è ancora più fitta che in passato e il terzo per l’eliminazione dei voucher. Una scelta importante, che non tutti in casa di Susanna Camusso hanno gradito, al punto che sta crescendo una fronda di destra contro la segretaria della Cgil. Perché il virus renziano colpisce anche dove meno te l’aspetti.

Pubblicato il

11.05.2016 22:00
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