Dopo che gli ospiti se ne sono andati, la moglie domanda al marito: Gli sarà piaciuto il mio risotto? Ma certamente, risponde lui, se si sono bevuti l’incredibile storiella che ho raccontato prima di metterci a tavola! Lei si offende. Nel discorso di auguri per il nuovo anno, il presidente della Confederazione, onorevole Samuel Schmid, tra le altre cose ha detto: «Dobbiamo pensare alle generazioni future e consolidare le nostre istituzioni sociali». Che cosa si debba intendere per “consolidamento” lo ha spiegato il direttore del Segretariato di Stato dell’economia, Jean-Daniel Gerber. Come riferiva l’Ats l’8 gennaio 2005, egli «ha auspicato in particolare riforme nel settore sociale. Gli oneri sociali sono la causa principale della progressione della quota della spesa pubblica rispetto al prodotto interno lordo (…)». Quindi, prosegue Gerber, siccome «i costi delle opere sociali devono rimanere economicamente sostenibili», bisognerà «adeguare l’età di pensionamento all’aumento della speranza di vita». Andremo in pensione a 67 anni. Sempre che ci vada bene, perché è in corso un’altra operazione, «la revisione dei compiti dello Stato», che consiste nel diminuire le spese sociali per poter abbassare le imposte ai ricchi, come ha detto chiaramente il presidente della Camera di commercio alla Rsi il 18 gennaio 2005. Ciò significa meno assistenza agli anziani, ai disoccupati, agli ammalati, agli andicappati. E meno istruzione, meno attenzione per l’ambiente, meno posti di lavoro, perché i soldi risparmiati attraverso gli sgravi fiscali non vengono riversati nell’economia, come si racconta, ma spariscono nei conti segreti di banche accoglienti. Come mai ci lasciamo rivolgere simili auguri dal presidente della Confederazione? Perché accettiamo che dei rappresentanti dello Stato, cioè di tutti noi, di tutta l’economia, parlino a nome dell’economia di pochi, di quelli che incassano i dividendi? Perché rinunciamo al nostro progetto di società e permettiamo che sia la Camera di commercio a stabilire quale sarà il futuro di tutti? C’è un’altra espressione che viene spesso usata in questi giorni e che meriterebbe di entrare in una raccolta di perle della retorica. Si tratta dell’«estensione della libera circolazione delle persone ai dieci nuovi Stati dell’Unione europea». La libera circolazione di cui si parla non significa assolutamente maggiore libertà di entrare e uscire dalla Svizzera: le continue restrizioni del diritto d’asilo e l’ostinato rifiuto dell’Associazione industrie ticinesi di introdurre dei controlli sul rispetto dei contratti di lavoro un po’ più seri di quelli attuali che sono una barzelletta dimostrano il contrario. Significa maggiore libertà di assumere lavoratori dell’Est con uno stipendio inferiore a quello che spetterebbe ai lavoratori locali. Il padronato svizzero ha bisogno di schiavi, non di liberi cittadini. Perché permettiamo che si utilizzino gli ideali dell’Europa unita, Montesquieu, il liberalismo, perfino l’internazionalismo, per mascherare la messa in concorrenza dei lavoratori allo scopo di abbassare il costo del lavoro? Ma se ci siamo bevuti la favola che il capitalismo è il migliore dei sistemi possibili!

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28.01.05

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