Divorzio tra economia reale ed economia finanziaria?

Credo che la recente, dirompente crisi economica, con tutti gli annessi e connessi che sta trascinando dietro di sé nel suo faticoso evolversi, abbia dimostrato almeno una cosa di cui sembrano più o meno convinti tutti. Il legame tra l'economia reale e quella finanziaria è diventato così aleatorio da permettere a quest'ultima di sentirsi tanto autoreferenziale da credere di poter fare da sola, senza preoccuparsi troppo di mantenere i necessari vincoli o legami con il mondo economico reale. E non è casuale che gli interventi, numerosi, faraonici e davvero impensabili solo fino a pochi mesi fa, che i governi liberali e liberisti hanno messo in campo a sostegno del capitale finanziario, stiano faticando davvero tanto (per non dire di peggio!) a rimettere in moto, almeno in modo impercettibile ma positivo, l'economia. Quell'automatismo (considerato un tempo il circolo "virtuoso" economico, per definizione) che voleva far credere ai cittadini che ogni beneficio finanziario si sarebbe riverberato automaticamente o quasi sull'economia reale, non è più credibile per nessuno. Per questo stupisce costatare come, per il momento, non siano ancora stati proposti, sia a livello nazionale che internazionale, significativi e strutturati piani di interventi anticiclici, di sostegno e di rilancio, non solo a favore del capitale finanziario (quelli li abbiamo già visti e non sembrano essere serviti a molto per il momento!), ma anche dell'economia reale e del consumo. Ne è un buon esempio quanto sta accadendo in questi giorni negli Stati Uniti, con le grandi aziende automobiliste americane ad implorare un sostegno economico tangibile e la politica americana a tergiversare e sostanzialmente ad opporsi (per lo meno fino al momento in cui sto scrivendo) ad una simile idea, per non "turbare" il libero mercato (in realtà, credo piuttosto che il fatto di poter "salvare" concretamente ed immediatamente milioni di posti di lavoro – con l'indotto – sia, per alcuni politici americani e repubblicani, così indigesto da diventare qualcosa che non si può e non si deve fare!). È invece evidente che, se il legame tra mondo reale e finanziario è fortemente incrinato, solo rimettendo in movimento, e quindi sostenendo, sia l'uno che l'altro potremo sperare di ottenere un qualche risultato tangibile. Ed è altrettanto evidente che se le scelte politiche, al posto di impegnarsi a ricucire gli strappi tra l'economia reale e il mondo finanziario, andassero in direzione diametralmente opposta (come sembra stia avvenendo negli Stati Uniti appunto) questa crisi potrebbe diventare davvero un disastro epocale!
Ora, se la dimensione della crisi è comunque tale da farci sentire tutti come granelli di sabbia trascurabili nell'attuale enorme deserto economico, è pur vero che anche i piccoli Governi nazionali e cantonali, possono dare alcuni piccoli segnali positivi. Lo potrebbero (dovrebbero!!) fare il Parlamento e il Governo federale, ma lo potrebbero (dovrebbero!) fare anche il Parlamento e il Governo cantonale.
Spiace allora costatare come, nella discussione in atto sul Preventivo 2009 del Canton Ticino, la prospettiva sembra essere restata la stessa (o quasi) di qualche mese fa quando, forse solo per beata ignoranza o per distrazione, ci si permetteva ancora di pensare al risanamento delle finanze cantonali come alla priorità assoluta a cui tendere politicamente.
Oggi le cose dovrebbero essere viste in maniera ben diversa. La priorità non può più essere la stessa. Pensare ancora di proporre tagli sulla spesa, sui servizi, sui contributi, sull'offerta formativa, sulla scuola, ecc. senza proporre per lo meno e contemporaneamente interventi mirati e puntuali di sostegno ai salari, all'occupazione, al reddito, alle piccole e medie imprese, ecc. appare, alla luce di quanto precede, oggettivamente anacronistico e colpevolmente sbagliato.
Dove è finito il "vecchio" ma pur sempre affidabile principio che in periodi di crisi lo Stato possa e debba fare una politica anticiclica, promuovendo i propri interventi finanziari (anche formativi, non solo edili!) nell'economia e nel territorio e sostenendo così l'economia in difficoltà? Mi auguro di cuore che analoghi pensieri inducano sia le forze politiche che il Parlamento e il Governo del Cantone a ripensare le proprie priorità e i propri obbiettivi politici di breve, brevissimo termine.

Pubblicato il

21.11.2008 13:30
Anna Biscossa
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