Malaedilizia

Poteva essere una storia a lieto fine, ma l’applicazione burocratica delle ciniche leggi della migrazione ha guastato tutto. Il protagonista della storia è Fouad Zerroudi, l’uomo che aveva commosso l’intero Ticino per il coraggio avuto nel denunciare uno dei più gravi casi di malaedilizia in Svizzera, trasformando l’orgoglio nazionale dell’opera del secolo AlpTransit, nel cantiere della vergogna del Monte Ceneri. Il suo caso diventò di dominio pubblico grazie alla trasmissione Falò andata in onda sulla Rsi il 4 aprile.

Giornate lavorative infinite (fino a 24 ore filate), lavoro ininterrotto per una ventina di giorni consecutivi, buste paga taroccate al ribasso, assenza di permessi per guidare macchinari, indizi di caporalato. Erano alcune delle problematiche denunciate sul cantiere AlpTransit del Monte Ceneri nell’esecuzione della tecnica ferroviaria (posa dei binari), affidato alle imprese italiane Gcf Generale costruzioni ferroviarie e Gefer (entrambe del Gruppo Rossi di Roma) del consorzio italo-svizzero ‘Mons Ceneris’. Appalto ottenuto con un’offerta del 30% più bassa rispetto al consorzio svizzero-austriaco concorrente, il cui ricorso nel 2015 fu poi respinto dal Tribunale federale.


Alcuni operai denunciarono il malaffare al sindacato Unia. I sindacalisti iniziarono a raccogliere le prove e le testimonianze. Un’impresa non facile, per la quale ci vuole molta pazienza, la capacità di tessere legami personali e instaurando fiducia negli operai sfruttati. Quando la documentazione raccolta fu considerata sufficiente, i sindacalisti informarono la Teseu, la sezione della Polizia cantonale che si occupa di inchieste relative ai reati legati allo sfruttamento degli esseri umani. Nonostante i buoni risultati ottenuti dall’indagine sindacale, solo le forze dell’ordine dispongono dei mezzi necessari per appurare la verità giudiziale. Era un anno fa.


La magistratura aprì l’inchiesta solo dopo la puntata di Falò. E ancora non si vede la fine di questa inchiesta affidata al procuratore Andrea Gianini. Nell’inchiesta condotta dal procuratore, oltre a Zerroudi, cinque operai sono stati ascoltati dagli inquirenti, mentre altri già segnalati da Unia attendono di essere convocati dal Procuratore.  


«Riteniamo che al Ministero pubblico si debba creare una sezione sui reati in ambito lavorativo, in grado di accelerare le pratiche inevase e lo sviluppo di competenze interdisciplinari specifiche nella magistratura» aveva detto ad area il segretario di Unia Ticino Enrico Borelli, nell’approfondimento in cui si elencavano i ritardi e le disfunzioni della magistratura ticinese nei reati legati al mondo del lavoro (“Ticino terra di malaedilizia” area n°8-2019). Una magistratura inefficiente in questo delicato ambito comporta conseguenze gravi all’intero tessuto sociale ed economico del Paese.


A farne le spese, della lentezza dell’inchiesta, sono in primo luogo quegli operai che hanno avuto il coraggio di rompere l’omertà che regnava nel cantiere della Confederazione. Lasciati a casa dall’ex datore di lavoro, stanno vivendo periodi economici difficili e, talvolta, con pesanti ripercussioni nella vita familiare. Alcuni di loro avrebbero già ricevuto offerte economiche dall’impresa per ritirare la denuncia. Ricordiamo che l’importo complessivo denunciato, stando a Unia e Ispettorato del lavoro, supera i 3,5 milioni di franchi per 80 lavoratori.


Zerroudi, dopo aver trovato lavoro in un’altra azienda in Italia quale operaio specializzato, sarebbe stato lasciato a casa su pressione dell’ex impresa che aveva denunciato. Nei mesi successivi, sarebbe stato “invitato” da non meglio qualificati emissari dell’impresa, a ritirare la denuncia in cambio di un sostanzioso importo. Lui ha rifiutato, anteponendo la dignità ai soldi. Ma solo qualche settimana fa, “è stato oggetto di vere e proprie intimidazioni da parte di sconosciuti”, stando alla denuncia di Unia comunicata il 10 ottobre.


A inizio articolo, si parlava di un possibile esito finale positivo per Zerroudi. Un’impresa elvetica, avrebbe voluto assumerlo in ragione delle sue competenze specifiche professionali. Essendo Zerroudi di nazionalità marocchina, seppur residente da decenni in Italia, egli sottostà alle speciali norme legislative federali molto restrittive sui permessi di lavoro di cittadini di Paesi terzi. A inizio estate, l’azienda inoltra la domanda di assunzione di Zerroudi. Primo passo, l’analisi preliminare della Commissione cantonale Stati Terzi. Quest’ultima si esprime favorevolmente al rilascio del permesso di lavoro a Zerroudi.

 

Non solo, in una successiva missiva indirizzata alla Segreteria di stato della migrazione (Sem) e firmata dai rappresentanti di Aiti, Camera di commercio ticinese, Società impresari costruttori, i sindacati Unia e Ocst e in copia al Dfe, si è perorata la causa del rilascio del permesso di lavoro, descrivendo il fondamentale ruolo di Zerroudi nella denuncia penale e all’opinione pubblica attraverso la trasmissione Falò. «Solo grazie a queste denunce è possibile evitare che casi simili si ripetano e che a pagarne le conseguenze siano lavoratori e ditte oneste», si legge nella lettera.


Purtroppo per Zerroudi (tra l’altro ospite al recente Congresso regionale di Unia a Lugano – si legga a pagina 9), e la società civile ticinese impegnata al suo fianco, il 25 ottobre la Sem comunica di rifiutargli il permesso di lavoro.  


«Ora stiamo valutando il ricorso, ma in generale, non lasceremo nulla d’intentato» spiega Igor Cima, dirigente di Unia che fin dall’inizio ha seguito l’intera vicenda. «Con Fouad e i suoi colleghi abbiamo un doppio debito. Il primo per aver scoperchiato l’omertà delle nefandezze avvenute in un cantiere finanziato coi soldi pubblici. Per essersi coraggiosamente esposti, oggi sono senza impiego. Ora l’autorità federale gli nega la possibilità di lavorare in Svizzera per formalismi burocratici. È un grave errore. Lavoratori come lui vanno tutelati, perché sono essenziali se si vuole un tessuto sociale sano, sia per le imprese oneste che per i lavoratori. Ora invece Fouad e i suoi colleghi si trovano in gravi difficoltà. Fino a quando non sarà chiusa l’inchiesta penale, saranno sempre soggetti a pressioni e ricatti, tanto più che si trovano in una situazione economica difficile. Presto ci rivolgeremo alle istanze civili, per recuperare gli importi che sono molto alti».

Pubblicato il 

07.11.19