Dal salario la dignità

Il caso Palace è uno schiaffo indiscriminato. Decine di esseri umani pagati meno della metà di quanto gli spetta di diritto è un insulto non solo alla dignità dei lavoratori che hanno subito quel torto, ma è uno schiaffo alla società civile.
È un insulto ai muratori regolarmente retribuiti, perché trascina i loro diritti nella spirale di una competizione sleale dalla quale uscirebbero solo perdenti. È un insulto alla memoria di tutte quelle persone che hanno lottato (alcune al prezzo della vita), per vedersi riconosciuti i diritti di lavoratori, faticosamente conquistati e codificati nel contratto. È un'offesa anche a quegli impresari che pagano correttamente i propri dipendenti.
Il salario non è il prezzo di una merce qualsiasi. Il lavoro, nella sua dimensione sociale, contribuisce a definire l'identità e quindi la dignità di una persona. Il suo valore deve poter equivalere a una vita degna di esser vissuta. Squalificare il salario significa disprezzare la persona.
Per questo è importante che Cleto Muttoni, presidente della Società degli impresari ticinesi, abbia definito "profondamente disgustosa" la vicenda Palace. L'auspicio è che al disgusto seguano i fatti. Primo fra tutti evitare le pericolose derive provenienti dalle frange neoliberiste tra gli impresari, nazionali o cantonali che siano.
La sola idea di abolire il contratto collettivo di lavoro nell'edilizia non dovrebbe neanche essere immaginabile. Cosa comporti in pratica la teoria del libero mercato nella contrattazione del prezzo della forza lavoro ce lo dice proprio il caso del Palace. E nella scellerata ipotesi che il contratto non fosse più legge, quanto accaduto al Palace non sarebbe neanche illegale. Un'involuzione sociale dagli effetti devastanti.
Aveva ragione Roberto Saviano quando scrisse in Gomorra : «La logica dell'imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide con il neoliberismo più radicale. Le regole dettate, le regole imposte, sono quelle degli affari, del guadagno, la vittoria su qualsiasi concorrente. Il resto è uguale a zero. Il resto non esiste». Nessuna norma, nessun controllo. È il sogno di tanti imprenditori senza scrupoli e senza dignità. E quando le norme ci sono, si riesuma il caporalato.
È necessaria una risposta dirompente che nasca dai cantieri, dai muratori, e contagi la società civile. La libertà non si mendica, si conquista. Il "libero" mercato della contrattazione individuale tra impresario e operaio non è progresso, è un passo verso una moderna schiavitù.

Pubblicato il

19.05.2011 00:30
Francesco Bonsaver
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