Contributi versati, prestazioni negate

La Convenzione di sicurezza sociale non è più valevole per il Kosovo dal 1° aprile di quest'anno, lo ha deciso in dicembre il Consiglio federale. Questa decisione ha pesanti conseguenze sulla comunità kosovara in Svizzera.

Dal primo di aprile, in seguito ad una decisione del Consiglio federale, i cittadini del Kosovo residenti in Svizzera non beneficiano più di una Convenzione di sicurezza sociale. Hanno quindi diritto a prestazioni come Avs, Ai, assegni familiari e malattie professionali, solamente se domiciliati in Svizzera (vedi articolo sotto). Questa decisione, oltre ad avere delle conseguenze per chi intendeva tornare nel suo Paese d'origine dopo il pensionamento, per chi percepisce una rendita d'invalidità o per chi ancora non ha potuto o voluto far venire in Svizzera anche i figli e il coniuge, è anche percepita come discriminatoria e ingiusta. «È una decisione che riguarda quasi 200 mila persone che vivono in Svizzera, le quali, senza troppe spiegazioni né preavvisi, si sono viste privare di un diritto», spiega Visar Qusaj, originario del Kosovo e presidente dell'Associazione per la cultura albanese a Nyon e dintorni (Acane).
Sì, perché di diritto si tratta, e non di beneficienza da parte della Confederazione o di vantaggio ingiustificato per i kosovari. Queste persone hanno lavorato e lavorano in Svizzera, pagano i contributi e quindi maturano dei diritti, che vengono però negati se decidono di tornare al loro Paese o sono costretti a farlo: «Certo, nessuno ci impedisce di lasciare la Svizzera – prosegue Qusaj – ma possiamo farlo solamente con poche decine di migliaia di franchi nel caso dell'Avs, oppure senza niente in caso d'invalidità, anche se abbiamo lavorato onestamente, contribuendo al funzionamento dell'economia elvetica».
Nel caso dell'Avs esiste infatti il diritto di richiedere il rimborso, senza interessi, dei contributi versati, ma su dei salari modesti come quelli percepiti nella quasi totalità dei casi dai lavoratori kosovari, si tratta di cifre che non permettono una sicurezza economica per la vecchiaia, nemmeno in Kosovo. L'assicurazione invalidità (Ai) invece, non è esportabile. Quindi, se un lavoratore kosovaro resta invalido in Svizzera (e le probabilità non sono così remote, visto che molti di loro lavorano proprio in quei settori dove il rischio d'invalidità è particolarmente alto), e decide di tornare in Kosovo dalla sua famiglia, non potrà lavorare e nemmeno percepire una rendita. A volte però non esiste nemmeno la possibilità di scegliere, come spiega Qusaj: «generalmente, le rendite Ai percepite dai miei connazionali non sono molto alte, nel migliore dei casi si aggirano attorno ai 2 mila franchi al mese, cifra che in Svizzera non permette di vivere. Queste persone devono quindi far capo all'assistenza per riuscire a sbarcare il lunario e questo, oltre a costare di più alla Svizzera, può essere un motivo per non rinnovare il permesso di soggiorno. In questi casi non esiste alternativa: bisogna tornare in Kosovo senza nessuna rendita e senza poter lavorare».
Le conseguenze di questa decisione del Consiglio federale, sono quindi importanti per la comunità kosovara che risiede in Svizzera. Comunità che non riesce a capirne il perché e si sente tradita sia dal Governo elvetico che da quello kosovaro, che non ha reagito in loro difesa. «Quello che i kosovari in svizzera non capiscono è perché questa Convenzione, che ha funzionato per anni dopo la guerra nella ex-Jugoslavia e che continua a funzionare in Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina, non può funzionare in Kosovo. Perché con gli altri paesi dei Balcani la Svizzera ha intavolato dei negoziati, mentre con il Kosovo no, pur essendo stata tra le prime Nazioni a riconoscerne la legittimità come Stato. I kosovari in Svizzera sono tanti, siamo la seconda comunità dopo gli italiani, e l'impressione è che questo abbia avuto un ruolo nella decisione del Consiglio federale», conclude Qusaj.
L'associazione di cui Qusaj è presidente (Acane), ha lanciato una petizione già a febbraio (con termine a fine marzo) per chiedere al Governo elvetico e a quello kosovaro di collaborare per trovare una soluzione. Il 30 aprile è invece il termine per la petizione lanciata da Unia. Il sindacato chiede al Consiglio federale e al Governo del Kosovo di avviare immediatamente delle trattative per il rinnovo della Convenzione sulla sicurezza sociale e la proroga della Convenzione esistente fino alla conclusione delle trattative.


La Confederazione: «Un accordo a senso unico»

Nel dicembre 2009, vista l'indipendenza del Kosovo (2008), il Consiglio federale ha ritenuto non più validi per quest'ultimo gli accordi stipulati dalla Svizzera con la Serbia. Tra questi accordi, c'è la Convenzione di sicurezza sociale, conclusa a suo tempo con la Jugoslavia. Dopo il conflitto e la dissoluzione di quest'ultima, la Svizzera ha ripreso le trattative con ogni singolo Stato. Così in Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina è attualmente applicata la vecchia Convenzione e sono in corso dei negoziati per le nuove rispettive Convenzioni, ma non in Kosovo (vedi articolo sopra).
Di questa decisione del Governo elvetico, area ne ha discusso con Harald Sohns, portavoce dell'Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas).
Harald Sohns, quali sono le motivazioni che hanno portato a decidere di non applicare più la convenzione per il Kosovo?
«La Svizzera non ha mai concluso una Convenzione di questo tipo con il Kosovo, l'aveva conclusa nel 1962 con la Jugoslavia. Dopo la guerra e la dissoluzione della Jugoslavia, la Confederazione ha applicato quella stessa Convenzione con ognuno dei nuovi Stati che si sono creati, tra i quali la Serbia, e ha poi iniziato dei negoziati con i singoli Paesi per arrivare a delle Convenzioni individuali che possano rispondere ai rispettivi bisogni. Mentre erano in corso le trattative con la Serbia (non ancora concluse - ndr), il Kosovo ha proclamato la sua indipendenza. Inizialmente la Svizzera ha deciso di applicare provvisoriamente la vecchia Convenzione anche con questo nuovo Stato. Quindi, quello che il Consiglio federale ha deciso in dicembre dello scorso anno, non è l'annullamento di una Convenzione, ma semplicemente di non applicare più a questo Stato una Convenzione che era stata negoziata con un altro Stato, la Jugoslavia, nel 1962».
Perché questa decisione si applica solamente al Kosovo, e non a Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina?
«A differenza di Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina, in Kosovo non ci sono i presupposti per un'applicazione soddisfacente di questa Convenzione. Il problema è che il Kosovo non ha ancora un sistema di sicurezza sociale strutturato e funzionale, e le strutture amministrative sono ancora molto deboli. Ad esempio, se un lavoratore kosovaro in Svizzera moriva, questo dava diritto alla moglie e ai figli rimasti in Kosovo di percepire una rendita di vedovanza e rispettivamente di orfano. L'assicurazione svizzera non era però in grado di verificare che la vedova fosse effettivamente moglie del defunto e gli orfani figli suoi, questo a causa di una mancanza di strutture amministrative affidabili.
C'è da dire anche che, in virtù di questa Convenzione conclusa diversi anni fa con la Jugoslavia, i kosovari residenti in Svizzera hanno beneficiato di vantaggi non riconosciuti a persone provenienti da altri Stati. La Confederazione ha infatti concluso delle Convenzioni di sicurezza sociale solamente con 43 Paesi, e non ne ha invece con le altre circa 150 Nazioni esistenti nel mondo, nemmeno con Stati importanti come gli Usa. Quindi dal 1° di aprile, le regole applicate ai cittadini kosovari sono semplicemente le stesse che vengono applicate ai cittadini statunitensi e di molti altri paesi».
Il numero di lavoratori kosovari in Svizzera è però molto più alto rispetto a quello degli statunitensi, questo non è un criterio valido per decidere una Convenzione di sicurezza sociale?
«No, il numero di persone interessate non può essere un criterio di prima importanza per l'esistenza o meno di un accordo, bisogna chiedersi dove risiede l'interesse della Svizzera nel raggiungere un accordo con un determinato Paese. Il numero di lavoratori provenienti da uno Stato può, eventualmente, essere un criterio che aumenta l'interesse del paese di provenienza, in questo caso il Kosovo, ad avviare delle trattative per una Convenzione di sicurezza sociale. E comunque, anche il numero di persone originarie del Kosovo e residenti in Svizzera è da relativizzare: si parla di circa 170 mila persone, ma di queste circa 40 mila hanno la nazionalità svizzera e quindi l'esistenza o meno di un Accordo con il Kosovo non le riguarda. Così come per il momento non riguarda i bambini e i ragazzi, che ne saranno eventualmente interessati fra diversi anni, ma non è detto che nel frattempo la Svizzera non concluda una Convenzione di sicurezza sociale con il Kosovo».


Il commento: È discriminazione

L'assenza di una Convenzione di sicurezza sociale con il Kosovo, uno Stato che fornisce alla Svizzera un gran numero di lavoratori, ha delle conseguenze importanti. Di fronte alla portata di tali conseguenze, le motivazioni del Consiglio federale a giustificazione della sua decisione appaiono deboli. La discriminazione è evidente, visto che una Convenzione di questo tipo esiste per Croazia e Macedonia, mentre sono in corso i negoziati con Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro (per i quali si applica ancora la Convenzione stipulata a suo tempo con la Jugoslavia). L'unico Paese della ex-Jugoslavia a non beneficiare di una Convenzione sarebbe il Kosovo, e questo nonostante la Svizzera sia stata tra i primi a riconoscerlo come Stato. Inoltre, il peso dato dall'Ufas alle difficoltà di controllo per gli eventuali abusi ai danni dell'Ai, lascia molto perplessi se si pensa che le rendite versate in Kosovo sono appena 300 e, per stessa ammissione dell'Ufas, solamente per una minima parte di esse esiste un sospetto (ancora da confermare) d'irregolarità. Per una piccola minoranza di persone sospette, il Consiglio federale penalizza un'intera comunità, etichettandola oltretutto come "approfittatrice", quando quello del quale usufruiva era semplicemente un diritto, non un privilegio. Diritto al versamento di prestazioni per le quali i lavoratori kosovari, come tutti, hanno versato i contributi.

Pubblicato il

23.04.2010 01:30
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