Lavoro

La signora è dialettofona integrale, impacciata quando deve parlare in italiano. Se si accorge che chi le sta di fronte volta fuori il discorso non esita a dirgli: ora andiamo in fontana chiara. Se invece chiacchiera e non viene mai a una lo interrompe, non stiamo qui a cercare chi la rotta. Quando ha a che fare con qualcuno che cincischia invece di portare a termine il lavoro si arrabbia: qui la viene spessa, la mangiamo fredda, non ci salviamo più. Insomma è una di quelle persone preziose che non si sono lasciate colonizzare dalla lingua ufficiale. Una specie di banca dei semi a cui far ricorso quando verrà cambiato il significato a tutte le nostre parole.


Dice anche: «Nümm ceto medio semm quii che paga püsée i ropp, per esempio i miei supporti dentali all’epoca li ho pagati uno 300 e l’altro 400 franchi, invece tutti quelli che sono esentati dalle imposte e prendono l’assistenza non pagano niente ma hanno supporti dentali di prim’ordine». Chissà come dovrebbero essere fatti i supporti dentali dei poveri. Ma come mai questa espressione “ceto medio” che non appartiene al registro dialettale?


Le guardie di confine ora sono più rilassate, il flusso dei migranti si è molto ridotto e non costituisce quasi più un problema. Ma l’odio diffuso a piene mani in questi anni contro gli stranieri (s’intende gli stranieri poveri, perché quelli ricchi sono sempre stati i benvenuti) si è trasformato in odio verso tutti i poveri, non c’è “prima i nostri” che tenga.


In ogni epoca i ricchi hanno disprezzato chi si trovava in basso. Il mondo dei parlanti in dialetto era considerato complessivamente ceto inferiore e basta, che aveva in comune, oltre alla povertà, la rassegnazione di fronte alle disgrazie, gli espedienti per difendersi dai soprusi più sfacciati, le piccole rare felicità, il modo dimesso di manifestare i sentimenti, i proverbi, la maniera di praticare la religione.

 

Si dirà: ci sarà pur stato qualche privilegiato o benestante in quel mondo. Certamente. Ma si esprimeva in una lingua speciale, come Donna Fabia Fabron De-Fabrian che racconta la figuraccia fatta nel recarsi a messa: la piazza davanti a San Celso era gremita di gente, in guisa che, con tanto furugozz, / agio non v’era a scender dai carozz, mettendo piede a terra cade a gambe all’aria e i monelli intorno giù a ridere: appenna sorta in piè / sentij da tutt i band quij mascalzoni / a ciuffolarmi dietro il “va-via-vè!”: / risa sconce, mottegg, atti buffoni, / quasi fuss donna a loro egual in rango, / cittadina… merciaja… o simil fango.


Il ceto alto, l’uno per cento della popolazione mondiale, nella guerra che conduce contro i poveri ha un disperato bisogno di alleati. È riuscito perciò a mettere in piedi dei battaglioni di ascari da mandare per quattro soldi in prima linea, e ha dato loro il nome di ceto medio. Nel vangelo di Matteo il servo a cui il re ha condonato un grosso debito ma uscendo dal palazzo prende per il collo e strozza uno che gli deve una piccola somma ha almeno un nome più schietto: il servo cattivo.


Non per fare del folclore Andrea Camilleri ha inserito tante parole o intere frasi siciliane nelle sue opere. Lo scopo era un altro, dare al siciliano dignità pari al toscano, perché una lingua muore se non viene continuamente alimentata dalle parlate vive. Ma era una metafora: è una nazione intera che muore se i poveri, i manovali, i braccianti, i disoccupati, gli stranieri che arrivano dal mare sono considerati nulla come è sempre stato nella storia.

Pubblicato il 

12.09.19

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