Lavoro

La mia è brava e tutto, ma è incredibilmente priva di iniziativa. Per esempio l’altro giorno le ho telefonato che non sarei potuta tornare a mezzogiorno ma verso le 13 e di buttare la pasta per quell’ora. Arrivo e trovo soltanto l’acqua che bolle, le domando: e la pasta? Risponde: non l’ho messa perché non mi ha detto quale tipo avrei dovuto usare. L’avvocata di Varese sta parlando della sua donna di servizio proveniente dalla ex Iugoslavia, cioè dalla Serbia, e prosegue: probabilmente questo è dovuto al fatto che è nata e cresciuta sotto il sistema politico che vigeva fino a pochi anni fa nel suo paese, e quel sistema le ha inculcato che bisogna obbedire senza pensare, sono fatte così, hanno l’imprinting del regime. L’avvocata è lontana dal considerare che l’imprinting dell’obbedienza cieca l’avevano piuttosto i soldati italiani e le camicie nere che nell’aprile del 1941 invasero la Iugoslavia. E non la sfiora nemmeno il sospetto che la timidezza della donna possa essere dovuta al timore di sbagliare qualcosa e perdere il posto di lavoro.


Donna di servizio è espressione politicamente poco corretta, meglio “collaboratrice domestica”. Così anche i lavoratori ora sono diventati “collaboratori”. Ma chi vive nella condizione di poter essere licenziato in ogni momento non può venir considerato uno che “lavora insieme”. Perché la paura di perdere il posto è tale da portarlo a preferire la cena della ditta alla festa del Primo Maggio, a essere sempre disponibile a fare straordinari, a lavorare di notte e di domenica e a proclamare nelle riunioni sindacali che è meglio una riduzione di salario piuttosto che la ditta chiuda o si trasferisca all’estero. Così di ricatto in ricatto, di delocalizzazione in delocalizzazione si arriverà al lavoro gratuito, che sembra essere l’obiettivo dell’economia postmoderna. Se in Svizzera il diritto di licenziare continua ad essere sacro, se in Ticino ogni anno aumentano i lavoratori privi dei diritti politici, ossia i frontalieri, se in tutta Europa i governi si legittimano con l’eliminare sistematicamente i diritti del lavoro, significa che lo status del lavoratore si sta avvicinando a quello dello schiavo: le sucre seroit trop cher, si l’on ne faisoit travailler la plante qui le produit par des esclaves, così descriveva Montes­quieu le ragioni degli schiavisti del suo tempo.


C’è una disparità immensa fra chi può disporre in ogni momento della vita di un’altra persona e chi può soltanto subire. Una disparità che non viene percepita dalle istituzioni e rende quasi comico il sistema giudiziario quando è chiamato a decidere nelle cause di lavoro. Il sindacato deve avere nel suo programma l’illicenziabilità di tutti i lavoratori perché possano esprimersi direttamente sui problemi della propria ditta senza aver bisogno di funzionari e giornalisti. Se nel lavoro manca la componente della dignità e del coraggio, il risultato è la concorrenza spietata di tutti contro tutti e l’imbarbarimento dell’intera società, si vedono già i sintomi. Un sindacato formato da persone prive di dignità condanna sé stesso all’irrilevanza politica e a dover fare uso di un linguaggio penoso come nel caso dei piani sociali per mettere una pezza ai licenziamenti di massa: «Ora è ancor più necessario che le forze sociali e istituzionali si impegnino alla ricerca di soluzioni che diano risposte ai risvolti sindacali della vicenda e una prospettiva futura a tutti i collaboratori…». Un’offesa alla lingua italiana oltre che alla storia delle lotte dei lavoratori.

Pubblicato il 

16.11.17

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