Il 1° gennaio di quest'anno è entrata in vigore la seconda riforma di legge riguardante la fiscalità delle imprese, che il popolo svizzero aveva accolto di misura (50,5 per cento di sì) nel febbraio 2008. La legittimità democratica di quella votazione è però dubbia, poiché il Consiglio federale aveva all'epoca mentito sull'entità delle perdite fiscali per lo Stato e dunque per tutti noi cittadini che usufruiamo dei suoi servizi. Perdite che secondo i calcoli più aggiornati potrebbero raggiungere dieci miliardi di franchi in dieci anni, ossia più di dieci volte di quanto preventivato. Ora il Partito socialista (Ps) e i Cantoni di Berna e Zurigo chiedono che la consultazione venga ripetuta.

Dopo il fallito tentativo del Ps, per opposizione dei partiti borghesi, di fare approvare dalle Camere federali dei correttivi per ridurre le perdite fiscali per Confederazione, Cantoni e Comuni, sono stati inoltrati due ricorsi al Tribunale federale (uno presentato nel canton Berna dalla consigliera nazionale socialista Margret Kiener-Nellen e l'altro a Zurigo dal suo collega di partito Daniel Jositsch) con cui si chiede l'annullamento della votazione popolare del 2008 o, almeno, di dichiarare la violazione di diritti politici quali la garanzia della libera formazione dell'opinione e l'espressione fedele della volontà della cittadinanza.
Secondo i ricorrenti, il Consiglio federale ha infatti «tratto in inganno il popolo» affermando che la riforma avrebbe generato solo un leggero calo dell'introito fiscale. Basta del resto andare a rileggersi l'opuscolo informativo ufficiale distribuito all'epoca alla popolazione o riascoltare le allocuzioni dell'allora ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz e dei suoi colleghi Doris Leuthard e Pascal Couchepin, che "vendevano" ai cittadini questa riforma come un toccasana per le piccole e medie imprese (pmi). «A beneficiarne saranno migliaia di garagisti, di fioristi, di altri artigiani e di commercianti», affermava per esempio Couchepin escludendo «in ogni caso» che si trattasse di un regalo fiscale ai grossi azionisti e assicurando che «le poche decine di milioni di imposte in meno saranno ampiamente compensate dalle ricadute di questa riforma dell'imposizione sulla crescita». «A breve termine la Confederazione prevede un leggero calo delle entrate fiscali» di 83 milioni di franchi, scriveva il Consiglio federale, stimando invece in 850 milioni la perdita complessiva per Cantoni e Comuni e ipotizzando addirittura, «a lungo termine», un aumento delle entrate.
A soli tre anni di distanza il quadro della situazione appare radicalmente modificato. È stata la stessa neoministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf a riconoscere che le nuove regole del gioco nell'ambito della fiscalità delle imprese faranno perdere molto di più alle casse della Confederazione: 1,2 miliardi solo nel 2011 e in seguito tra i 400 e i 600 milioni all'anno per un decennio, vale a dire tra i 5 e i 7 miliardi in totale. Miliardi che secondo alcuni esperti potrebbero anche aumentare a 10. La consigliera federale grigionese ha ammesso davanti al Parlamento che l'informazione data alla popolazione (e allo stesso legislativo) «era incompleta», ma al tempo stesso ha affermato a chiare lettere che il governo non intende indietreggiare sulla riforma. Anche perché i nuovi calcoli sono «solo ipotesi» e a suo avviso «le perdite sono sopportabili».
Resta il fatto che l'esito della votazione sarebbe probabilmente stato un altro se le previsioni del Consiglio federale si fossero basate su dati realistici. Visto oltretutto che nel referendum promosso dalla sinistra ben il 49,5 per cento dei cittadini si era detto contrario alla nuova legge. A sostenere questa tesi è addirittura il governo zurighese a maggioranza borghese, che si è schierato dalla parte dei ricorrenti con una chiarezza sorprendente: «Il Consiglio di Stato ha constatato una violazione del libero esercizio del voto», scrive nero su bianco nella sua presa di posizione sul ricorso socialista. Sulla stessa lunghezza d'onda anche l'esecutivo bernese, che esprime «comprensione» per le ragioni del ricorso.
È del resto piuttosto evidente che le cose sarebbero andate altrimenti se i cittadini avessero saputo che l'oggetto in votazione era un enorme regalo fiscale ai grossi azionisti e che avrebbe consentito, per esempio, a una banca come Ubs di distribuire 54 miliardi di dividendi (gli utili che una società riversa agli azionisti) non imponibili.
La legge sulla riforma II dell'imposizione delle imprese equivale a una soppressione "de facto" dell'imposta sul capitale. Essa prevede infatti di detassare quella parte di reddito proveniente da partecipazioni a imprese, come i dividendi e le quote di utili. Questo significa che qualsiasi titolare di almeno il 10 per cento delle azioni di una società anonima viene tassato solo sul 60 per cento (e non più sul 100 per cento) del reddito realizzato con tali azioni (i dividenti). Una vera e propria ingiustizia se si pensa che il salario dei lavoratori e le rendite dei pensionati sono invece imponibili totalmente.
Per comprendere le reali dimensioni di questo regalo fiscale confezionato dall'ex ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz, bisogna inoltre tenere presente che il nuovo sistema si applica retroattivamente a partire dall'anno fiscale 1997. Un particolare che spiega tra l'altro la perdita fiscale elevata prevista per l'anno in corso (1,2 miliardi).
A titolo di compromesso, i rappresentanti della sinistra alle Camere federali avevano suggerito di rinunciare a questo effetto retroattivo, ma il governo e la maggioranza borghese del legislativo non ne hanno voluto sapere, preferendo chiudere gli occhi sulla realtà e far finta che con quella votazione del 24 febbraio 2008 non sia successo nulla di grave per la democrazia elvetica. Anche se Eveline Widmer-Schlumpf ha dovuto riconoscere a denti stretti che quanto accaduto «non favorisce la fiducia» dei cittadini nelle autorità.
Non resta che attendere la decisione del Tribunale federale.

Pubblicato il 

06.05.11

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