Vent'anni fa lo sciopero delle donne svizzere destò scalpore anche fuori dai confini nazionali. Un inatteso tsunami viola spazzò da una parte all'altra il paese, spiazzando per il suo impeto le stesse promotrici. All'epoca, il 14 giugno 1991, nessuna donna sedeva in Consiglio federale. L'unica che fino ad allora era riuscita a farsi eleggere, Elisabeth Kopp, si era vista stroncata poco prima la brillante carriera dalle torbide vicende in cui finì invischiato il marito.
Oggi le donne sono la maggioranza nel governo federale. E hanno una personalità e un'indipendenza tali da non dover temere di essere messe in difficoltà da qualche marito o compagno troppo ingombrante. Il passo in avanti, almeno a livello simbolico, c'è stato. Oggi tutti e tutte possono convivere con l'idea di essere governati da una maggioranza di donne. Che poi questa faccia una politica diversa da una maggioranza di uomini, è tutto un altro discorso. Ma intanto si sa che fare carriera al femminile è possibile, e qualcuna la sta anche facendo.
È tuttavia sul piano pratico, quello della vita di tutti i giorni delle donne comuni, che di passi avanti in vent'anni se ne sono fatti pochi. Basta prendere un dato oggettivo come le differenze salariali per capire quanta ancora sia la discriminazione che corre fra i sessi (cfr. pag. 8). Ci si potrebbe dunque aspettare che la giornata di mobilitazione del prossimo 14 giugno sia attesa con un misto di rabbia e determinazione dalla grande maggioranza delle donne svizzere. Invece sembra esserci una certa freddezza, quasi che poco ci sia ancora da fare per raggiungere davvero la parità. Come se avere quattro donne in governo risolvesse da sé tutti i problemi.
In realtà i problemi non sono solo delle donne. Ed il disimpegno può essere imputato tanto alla maggioranza di esse, quanto alla maggioranza degli uomini. Che pure avrebbero molto da guadagnarci da un abbattimento dei pregiudizi e delle discriminazioni. Almeno quanto le donne. Quanti uomini oggi soffrono, troppo spesso senza dirlo, per una carriera che divora i rapporti con la compagna e con i figli? Quanti uomini non osano ribellarsi ad un mondo del lavoro ipercompetitivo che non lascia spazio alla persona? Quanti uomini non si riconoscono nel modello dominante del maschio vincente perché duro e spregiudicato?
Di lavoro da fare ce n'è dunque ancora tanto. Sia sul piano concreto che su quello culturale e simbolico. E lo devono fare tutti, donne e uomini. Lo "sciopero" di martedì prossimo non risolverà nessun problema. Ma sarà un'occasione per riprendere slancio, per indicare i problemi, per tornare a porre la questione dei rapporti fra i sessi al centro del dibattito sociale. Se non sarà uno tsunami, che sia almeno un bel temporale, con tuoni e fulmini in un intenso acquazzone viola.

Pubblicato il 

10.06.11

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