Ridurre le tasse! Ecco una promessa alla quale ricorrono molto spesso i politici ed i partiti in campagna elettorale, anche quando non ci sono gli indispensabili presupposti finanziari per le casse dello Stato. Poi, evidentemente, non è sempre facile mantenere una tale promessa da parte di chi viene premiato dall’elettorato e si ritrova a dover governare. Questo è accaduto anche al presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che solo quasi a fine legislatura ha capito il guaio che avrebbe comportato per lui non aver mantenuto la promessa di ridurre le tasse fatta prima delle elezioni del 2001. Così che, dopo un lungo tormentone con polemiche a non finire ed un tira e molla con il Ministro dell’Economia Siniscalco, il presidente del Consiglio è riuscito a far inserire ed a fare approvare, nella legge Finanziaria 2005, una modifica delle aliquote di tassazione per l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Ire, già Irpef). Attraverso questa modifica il capo del governo ha ritenuto di aver mantenuto con il popolo italiano la sua promessa elettorale di riduzione dell’imposizione fiscale ed ha cercato di convincere in tal senso l’elettorato, con la sua indiscussa dote di grande comunicatore ed il forte supporto mediatico delle televisioni delle quali ha, ormai, il controllo assoluto: vuoi come proprietario, nel caso di Mediaset, o di capo dell’esecutivo in quello della Rai. Ovviamente tutto ciò non è vero o, meglio, lo è solo in parte. Innanzitutto perché con le nuove tre aliquote di tassazione introdotte (23 per cento per un reddito annuo fino a 26 mila euro, 33 per cento fino a 33’500 euro e 39 per cento oltre i 33’500 euro; con un contributo di solidarietà del 4 per cento per i redditi superiori ai 100 mila euro all’anno), e sia pure con le nuove deduzioni per il coniuge e figli a carico, il vantaggio fiscale maggiore sarà per quei contribuenti che hanno redditi medio alti o altissimi, come stanno a dimostrare le proiezioni fatte da diversi tecnici in materia fiscale. In secondo luogo perché le conseguenze del minor gettito fiscale per le casse del Tesoro comporterà, tra l’altro, una riduzione dei trasferimenti finanziari dallo Stato alle Amministrazioni locali. Pertanto, per poter mantenere gli impegni finanziari e garantire i servizi pubblici ai cittadini ad un livello decoroso, come la sanità ed i trasporti, tanto per citare un paio di esempi, le Regioni, le Province ed i Comuni saranno poi costretti ad aumentare le imposte locali o ad inventarne di nuove, come già accaduto anche negli ultimi anni. Basti pensare, per esempio, a quanto è avvenuto nella tassazione degli immobili (case e terreni) per i quali nel 1992 venne introdotta l’Imposta comunale sugli immobili (Ici) che, poi, proprio questo governo ne ha però accresciuto notevolmente il peso fiscale attraverso una forte rivalutazione degli estimi catastali, cioè del valore degli immobili sul quale viene calcolata questa tassa. Un carico fiscale che sta preoccupando il settore immobiliare e mettendo a dura prova le famiglie proprietarie della loro abitazione che, in Italia sono la stragrande maggioranza. Ma gli oneri fiscali, e tutti gli altri ammennicoli vari, sulla casa penalizzano ancor di più tutti gli emigrati italiani proprietari di una abitazione in Italia che, specialmente in Svizzera, sono molto numerosi. Abitazioni acquistate a suo tempo con mille sacrifici quando, nei primi anni di emigrazione, l’obiettivo di tutti gli emigrati era quello di ritornare poi in Italia per sempre e che oggi, da parte di coloro che non hanno potuto realizzare quel sogno, sono tenute a propria disposizione ed utilizzate per trascorrervi le ferie o per brevi soggiorni ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. Abitazioni che, peraltro, nonostante le ripetute sollecitazioni e richieste dell’associazionismo italiano, dei patronati, dei Comites e del Cgie, non sono considerate “abitazioni principali” dalla legge italiana e quindi escluse dalle facilitazioni fiscali previste, invece, per quelle abitate stabilmente dai residenti in Italia. Pertanto queste case sono ormai delle proprietà i cui costi sono diventati, complessivamente, sempre più insopportabili per tantissimi emigrati. Infatti la casa in Italia per gli emigrati, oltre all’Ici, comporta anche il pagamento dell’imposta sul reddito (se sfitta, sulla base del così detto reddito catastale) con i conseguenti impicci burocratici per le dichiarazioni ed i pagamenti che sono necessari e non facili da espletare per chi risiede all’estero. Senza poi dimenticare i costi per: gli scarichi delle acque, lo smaltimento dei rifiuti solidi (anche se l’immobile viene utilizzato solo per brevi periodi durante l’anno), oltre alla spesa minima mensile per l’allacciamento alla rete idrica, per quella della corrente elettrica, del gas ed infine per l’abbonamento annuo alla Rai. E, dulcis in fundo, sempre per gli emigrati italiani o, comunque, per i residenti nella Confederazione e proprietari di un bene immobile in Italia, l’obbligo della denuncia di questa proprietà anche al fisco elvetico ai fini dell’imposta sulla sostanza, conformemente alla convenzione italo-svizzera in materia fiscale del 1976. Come dire: casa dolce casa, ma quanto mi costi! Ed è proprio questa constatazione che sta spingendo, ogni giorno sempre di più, molti emigrati italiani a disfarsi delle loro proprietà in Italia. Peccato, veramente un peccato! Poiché quasi sempre è proprio la proprietà di un appartamento o di una casa che tiene legati all’italianità ed all’Italia gli emigrati ed i loro discendenti con tutti i benefici che ne derivano, anche in termini economici, per il Paese e sottovalutati, purtroppo, dai governanti italiani.

Pubblicato il 

14.01.05

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