L'editoriale

Nel ballottaggio di domenica scorsa per l’assegnazione dei due seggi al Consiglio degli Stati, i ticinesi, per la prima volta nella storia, hanno eletto una donna, hanno premiato la sinistra e hanno promosso un rappresentante dell’Udc. Nel contempo hanno mandato a casa, dopo vent’anni, un tenore della politica federale come il capogruppo del Ppd Filippo Lombardi e hanno sfilato al Plr una poltrona che deteneva ininterrottamente dal 1893. Questo “terremoto politico” che ha fatto e sta facendo rumore in tutto il paese si spiega sicuramente per molteplici ragioni, ma appare piuttosto evidente che l’elezione di Marina Carobbio e di Marco Chiesa, due persone totalmente agli antipodi, sia anche spia del profondo malessere che vive questo cantone, soprattutto per i gravi problemi che investono il mercato del lavoro e intaccano la qualità di vita dei ticinesi, che dopo anni di mancate risposte da parte della politica federale hanno intravisto nei due eletti capacità di ascolto e speranze di cambiamento.


Il Ticino è una realtà economica e sociale in sofferenza, dove ogni problema è più grave che in tutto il resto del paese: i salari più bassi della Svizzera, quasi il 25 per cento di posti di lavoro con retribuzioni da fame (più del doppio e persino del triplo che in altre regioni), una crescita spaventosa delle persone sottoccupate (raddoppiate negli ultimi 10 anni, contro un aumento del 30 per cento a livello nazionale), esplosione del precariato, primato nazionale per quanto riguarda tasso e rischio di povertà, una più grave penuria di alloggi a prezzi accessibili, premi dell’assicurazione malattie elevati e che aumentano a un ritmo più sostenuto che altrove, perdita di potere d’acquisto e discriminazioni di genere più accentuate. Una situazione aggravata dall’uso distorto (e a volte criminale) della libera circolazione dei lavoratori che produce fenomeni quali il dumping salariale e la sostituzione di manodopera residente con frontalieri. E dunque paure, insicurezza, sentimenti di chiusura e persino razzismo e xenofobia.


È proprio su questo terreno, proponendo la solite facili ricette dell’Udc (abolire la libera circolazione, prima i nostri, meno tasse, meno Stato eccetera) che Marco Chiesa ha costruito il suo strepitoso successo. Un successo un po’ figlio della crisi che investe la Lega dei Ticinesi, ormai senza personale politico che possa competere, ma anche dei suoi modi gentili che lo fanno apparire un po’ meno di destra di quanto non sia. Dubitiamo che con le sue idee Chiesa possa andare a Berna a difendere “gli interessi del Ticino”, anche se, per esempio in materia di protezione dei salari, ha dato qualche segnale di apertura che lo rendono tra il meno peggio di quanto l’Udc possa esprimere.


L’elezione di Marina Carobbio è invece una boccata d’ossigeno, una ragione di speranza, perché dimostra che vi è anche un altro Ticino. Un Ticino che cerca risposte ai problemi non con l’odio e l’esclusione ma con la solidarietà e i diritti. Un Ticino che premia finalmente una donna per il suo impegno, autentico e decennale, in favore della causa femminile e della protezione climatica, contro le discriminazioni e per la giustizia sociale.


Un Ticino che di fronte ai problemi del mercato del lavoro, non risponde con il “primanostrismo”, ma con la richiesta forte alla Berna federale di misure di protezione dei diritti dei lavoratori più incisive (salari minimi, contratti collettivi, controlli e sanzioni dissuasive). Un Ticino che compie un atto di riconoscenza nei confronti di una delle sue cittadine tra le più rappresentative nella politica e nelle istituzioni federali. Un Ticino, infine ma non da ultimo, che in queste elezioni federali ha premiato gli sforzi unitari della sinistra decretandone uno storico balzo in avanti che ha portato la sua rappresentanza nella deputazione alle Camere federali dal 10 al 30 per cento.  


In tutto questo hanno sicuramente dato una mano l’alleanza suicida tra il Plr e Ppd, i loro errori di comunicazione, la fisiologica (dopo vent’anni) perdita di consensi del super-candidato Lombardi e le lotte intestine al Partito liberale radicale, che hanno prosciugato il cosiddetto “centro”. Un “centro” che i ticinesi sembrano non più considerare come “rappresentante degli interessi del Cantone”. Un’opinione forse rafforzata anche dagli scivoloni del Consigliere federale Ignazio Cassis, che pretende di tutelare il suo Cantone smantellando le misure di protezione dei salari?


Pubblicato il 

21.11.19
Nessun articolo correlato