Caso Luxury Goods International

Si percepisce un certo imbarazzo presso l’Amministrazione federale delle contribuzioni sull’agire spregiudicato dei funzionari ticinesi del fisco nell’affare Gucci. Della ventina di manager del noto marchio indagati dalla Procura di Milano per evasione fiscale grazie al domicilio fittizio in Ticino, spicca il nome di un pezzo grosso: Patrizio Di Marco. L’ex amministratore delegato di Gucci, nel 2010 trasferisce il domicilio in un ben poco elegante palazzo di Paradiso, sobborgo luganese. Un anonimo appartamentino per un uomo la cui retribuzione prevede un paio di milioni di euro l’anno, 50mila in vestiti, vettura con autista e uso di jet privato. Infatti Di Marco, stando agli inquirenti italiani, vive stabilmente a Roma con moglie e figlia in un “appartamentino” da 44 locali. Dunque il signor Di Marco spenderebbe ben poca roba nel Cantone, dato che lui e famiglia non ci vivono mai. Malgrado il dispendio in Ticino dell’ex manager di Gucci sia pari a un piatto di lenticchie, i funzionari cantonali delle imposte concedono a Di Marco lo statuto fiscale privilegiato di globalista.


E lo fanno non solo violando il concetto alla base dello statuto di globalista (ti tassiamo poco perché spendi tanto nell’economia locale), ma pure in disprezzo della norma che vieta al globalista di poter esercitare un’attività lucrativa in Svizzera. Grazie al giornalismo d’inchiesta di Mediapart e del Consorzio European investigative collaborations (Eic), si è scoperto infatti che il signor Di Marco era presidente (e dunque retribuito) del Cda di Luxury Timepieces a Cortaillod, Canton Neuchâtel, fino al 2012.


Da noi contattata, l’Amministrazione federale delle contribuzioni chiarisce di non aver alcuna competenza di supervisione preventiva sulle scelte dei Cantoni nel concedere gli statuti fiscali di globalista a cittadini stranieri. In altre parole, il cantone fa un po’ quel che gli pare. Ma l’Afc specifica che, in caso di violazione delle norme di cui è venuta a conoscenza, potrebbe aprire un’inchiesta interna sull’operato dei funzionari ticinesi. Purtroppo, in virtù del “sacro” segreto fiscale, l’autorità federale non può confermare o smentire l’apertura di un procedimento contro gli uomini del Dfe del fisco.

Se ne saprà qualcosa di più, forse, a chiusura dell’eventuale inchiesta.

 

Intanto però dalle carte della società neocastellana di cui era presidente Di Marco, area ha scoperto un interessante particolare. Gli statuti della nascita della società sono stati redatti da Giovanna Masoni Brenni, ex municipale luganese e, soprattutto, sorella dell’ex consigliera di stato Marina Masoni. Non è un segreto per nessuno, che quando fu a capo del Dfe a fine anni 90, Marina Masoni ebbe un ruolo centrale nell’arrivo di Gucci in Ticino. Oggi infatti ricopre la carica di presidente di Ticino Moda, l’associazione che tutela gli interessi delle aziende del settore nel cantone. Il marito della sorella Giovanna, Paolo Brenni, siede nel Cda di Luxury Goods International (ex Gucci) da ormai 20 anni, da quando la casa di moda italiana arrivò nel paesino di Cadempino nel 1998, giusto tre anni dopo l’elezione in Consiglio di Stato della cognata Marina.


Un anno dopo, nel 1999, sarà sempre lo studio della famiglia Masoni a gestire anche la registrazione nel registro di commercio del Lussemburgo della Gucci Luxembourg Sa (oggi Kering Luxembourg), la società che di fatto controlla attualmente al 100% la Lgi di Cadempino. L’arrivo di Gucci in Ticino ha tutte le sembianze di un affare di famiglia.


Un altro nome ticinese appare da sempre nel Cda dell’ex Gucci di Cadempino, Adelio Lardi. Il consorzio investigativo giornalista lo considera l’architetto dell’evasione fiscale messa in piedi sia per il gruppo di moda (indagato in Italia per evasione fiscale di 1,4 miliardi di euro, e in Francia vicino ai 2 miliardi), sia per la ventina di manager italiani.


Lardi, considerato politicamente molto vicino a Marina Masoni (fu da lei nominato nel Cda dell’Azienda elettrica ticinese), contitolare di uno studio fiduciario luganese, sarebbe colui che ha inventato lo schema: imposta globale in Ticino, contratto di consulenza con società lussemburghese, soldi a Singapore, per il top manager Di Marco, accusato di evasione fiscale in Italia per 23 milioni di euro.


Ora Kering, la holding proprietaria anche del marchio Gucci, ha già abbandonato il Ticino. Sta riportando la sede fiscale nei paesi dove fisicamente i lavoratori producono la ricchezza del gruppo. Un’enorme ricchezza per nulla paragonabile al movimento merci dei capannoni ticinesi e dello staff dirigenziale fittiziamente attivo nel Cantone.


La partenza appare ormai assodata. Mancherebbe solo l’ufficialità che sarà comunicata una volta siglati gli accordi economici patteggiati con le Procure italiane e francesi. Seppur in misura maggiore, si ripete quanto successo nel 2016 con Armani a Mendrisio, rientrata in fretta e furia in Italia dopo aver concordato l’entità della multa da pagare per l’evasione fiscale con le autorità italiane.

Pubblicato il 

30.01.19