Dobbiamo bruciare i banchieri? Qualcuno se l’è chiesto già tempo fa in un libro (G. Pauget, Faut-il brûler les banquiers? Lattès, 2009). Ma i banchieri persistono. Anche chi incappa qua e là nelle notizie  finanziarie si sarà accorto della grandinata di multe piovuta sulle banche per imputazioni che vanno dagli artifizi venduti per sfuggire al fisco, all’inganno orchestrato (manipolazioni sul tasso di interesse di riferimento, sul mercato dei tassi di cambio o delle ipoteche), al non rispetto  delle norme di gestione (rapporto tra i fondi propri e l’esposizione creditizia, per evitare eccesso di speculazione e rischio di fallimento).


Un calcolo sulle notizie apparse in tre settimane, per otto banche imputate mi dà, tradotti in franchi, quasi 14 miliardi di multe. Nella lista fanno gravosa figura Ubs e Credito svizzero, con multe che vanno dal mezzo miliardo a quasi un miliardo e mezzo. Con significativi richiami da parte della Finma (l’autorità federale di sorveglianza sui mercati finanziari) di aumentare i fondi propri per far fronte ai “rischi operativi” (che è poi come dire: alle altre possibili sopravvenienze penali).


Sorge un primo interrogativo: come mai le pesanti multe sono sempre inflitte da altri Stati (Usa, Gran Bretagna, Francia) e quasi mai dalla Svizzera? Se fosse solo per un delitto di sottrazione fiscale, considerata la rete larga della Svizzera, si potrebbe capire. Ma per un delitto come la manipolazione orchestrata del tasso di interesse di riferimento, (detto “libor”, che agisce su contratti valutati ad almeno 450.000 miliardi di dollari), in cui è stata  implicata in modo massiccio l’Ubs, è meno facile da capire. Come mai gli Stati Uniti ingiungono una multa ad Ubs di 1,4 miliardi di dollari mentre la Finma, nostra autorità di sorveglianza, ordina un versamento riparatore alla Confederazione di appena 59 milioni di franchi? Forse perché banche e banchieri in Svizzera sono sacri e ciò che conta è lasciarli scorrazzare. Banchieri o banche da bruciare  proprio per questi loro comportamenti, dovrebbero però portare ad altre conclusioni.


Innanzitutto, proprio le multe salatissime, passate e future, inflitte alle banche per i comportamenti irresponsabili e immorali (inflitte più da Stati esteri che dalla clemente Svizzera), dovrebbero indurre sia a rivedere i rapporti tra le autorità politiche sinora succube o invischiate e le banche, sia ad archiviare per sempre il principio dell’autoregolamentazione o delle carte etiche createsi addosso su misura, poco serie, tanto da essere ipocrite, sia a cambiare il modello d’affari. Negli ultimi tempi una maggiore pressione regolamentatrice si è constatata (generando malumori tra le banche).


In secondo luogo, una via d’uscita per ritrovare una finanza al servizio dell’economia e una garanzia di sicurezza e stabilità per cittadini, risparmiatori e clienti, rimane quella di adottare le grandi linee  dell’intervento depositato alle Camere federali dal partito socialista (analogo intervento è proposto dall’Udc). In poche parole: non è sufficiente, come si fa ora, pretendere un aumento dei fondi propri delle banche o un preciso rapporto tra fondi propri e indebitamento per evitare il rischio di fallimento; è anche assolutamente necessario che si imponga una netta separazione tra le attività di deposito della banca (risparmi, credito normale) e le attività di banca d’affari  (o di investimenti speculativi). Dia sicurezza, attività economica e occupazione la prima, la banca vera; fallisca pure la seconda e si arrangi.

Pubblicato il 

21.11.13

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