Amore per la libertà

“Il movimento di liberazione curdo opera per un sistema di autorganizzazione democratico in Kurdistan avente le caratteristiche di una confederazione. Il confederalismo democratico è inteso come un’organizzazione non statale all’interno di una nazione democratica. Esso fornisce un quadro in cui le minoranze internazionali, le comunità religiose, i gruppi culturali, i gruppi di genere e gli altri gruppi sociali possono organizzarsi in maniera autonoma”.
Abdullah Öcalan, Guerra e pace in Kurdistan, 2008.

Nel febbraio del ’43 a Stalingrado finiva quella che forse è stata la più grande battaglia del nostro tempo. Un milione e mezzo di morti più tardi, con la distruzione della 6a armata della Wehrmacht, iniziava il lungo cammino dell’Armata Rossa verso Berlino. Il 27 gennaio 1945 l’esercito sovietico entrava ad Auschwitz, ispirando la celebre frase attribuita a Hemingway secondo la quale “ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti all’Armata Rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita”.
Stalingrado non rappresenta unicamente un punto di svolta strategico della seconda guerra mondiale. Stalingrado rappresentò un vero e proprio simbolo per tutti i popoli in lotta contro la barbarie nazifascista, considerata fino ad allora come militarmente inarrestabile. Una barbarie che, ben prima dell’invasione della Polonia, aveva cominciato a mietere vittime. Secondo lo storico Eric J. Hobsbawm sarebbe riduttivo fare riferimento alle tensioni belliche degli anni ’30 riferendosi ai classici schemi degli equilibri fra le potenze. La crescita esponenziale dell’estrema destra rappresentava quella che l’autore britannico ha definito una “guerra civile ideologica internazionale”. Il fascismo esisteva infatti in ogni società, e ogni società conobbe un’opposizione ad esso. La Spagna repubblicana ne rappresentò l’esempio più forte.


Nel febbraio del 1936 il Fronte Popolare vinceva le elezioni, ma la Repubblica aveva ormai vita breve. Falangisti, monarchici, cattolici... l’insieme della reazione iberica (sostenuta dalle truppe nazifasciste tedesche e italiane) si radunò dietro al “Caudillo” Franco che, dopo una sanguinosa guerra civile, instaurò una delle più longeve dittature europee. Più di 50.000 persone provenienti da 53 paesi combatterono in difesa della Repubblica nei ranghi delle brigate internazionali. Un trauma generazionale ben riassunto dallo scrittore Albert Camus, secondo il quale “la nostra storia è cominciata con una guerra persa”.


Nel febbraio del 2018, la Brigata internazionale di liberazione sta combattendo a fianco delle truppe dello YPJ-YPG per difendere i comuni del Rojava dal dispotico attacco dell’esercito turco.


Oggi, il tentativo di rivoluzione sociale e politica in atto nel Nord della Siria non può essere ridotto ad un semplicistico gioco di equilibri fra potenze in corso in Medio Oriente. Oggi, una forza progressista a netta maggioranza curda sta conducendo una “guerra civile ideologica internazionale”, contando sull’appoggio di combattenti turchi, armeni, arabi, europei, americani eccetera che combattono ad Afrin.
L’altro giorno, una combattente dello YPJ che cadeva martire sotto i colpi dell’Isis era dipinta come un’eroina da tutta la stampa mainstream. Oggi, una combattente che cade nelle stesse condizioni sotto i colpi della seconda potenza Nato riempie 4 righe in un giornale. Per continuare a esistere, la nostra storia non ha bisogno di una nuova guerra persa, ma della solidarietà più o meno grande di tutti gli esseri umani che ancora amano la libertà.

Pubblicato il

08.02.2018 10:44
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