Amianto, la storia si ripete

È un film già visto una trentina di anni fa in Europa quello che ci racconta il Brasile di questo inizio di ventunesimo secolo, con le sue miniere e le sue fabbriche di amianto tra le più grandi al mondo, pesante eredità di una vera e propria colonizzazione messa in atto a partire dagli anni Settanta dall'Eternit e dalle altre multinazionali dell'amianto come Saint-Gobin, dopo che erano state costrette a lasciarsi alle spalle il vecchio continente.

Un Brasile che negli scorsi anni ha visto il moltiplicarsi dei morti per mesotelioma ma che a fatica sta prendendo coscienza dei rischi per la salute umana e si sta dotando degli strumenti legislativi necessari per giungere alla messa al bando delle micidiali fibre. Così come è avvenuto in Europa.
«È la storia che si ripete», osserva Bruno Pesce, coordinatore del Comitato italiano Vertenza Amianto e figura storica delle battaglie sindacali di Casale Monferrato (la cittadina piemontese già sede di una fabbrica dell'Eternit di Stephan Schmidheiny dove tra ex operai e cittadini ci sono già stati quasi duemila morti per mesotelioma) che con una delegazione italiana ha recentemente partecipato nella capitale Brasilia a un convegno organizzato dall'associazione nazionale dei procuratori e dei giudici del lavoro e si è incontrato con numerosi rappresentanti di associazioni locali che si battono per la messa fuori legge dell'amianto. «Un'occasione-racconta Pesce ad area- per radiografare una situazione in lenta evoluzione che ricorda molto l'esperienza vissuta dai casalesi tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta».
«Ovunque -spiega- i produttori e gli utilizzatori dell'amianto (ovviamente le multinazionali) hanno sempre negato fino quando hanno potuto la nocività e la cancerogeneticità: fino alla fine degli anni Settanta è stato così in Italia e in Europa. Poi, improvvisamente, si è entrati in una fase in cui si sosteneva la possibilità di lavorarlo in sicurezza. Mentre la Russia la Cina e in genere i paesi in via di sviluppo si trovano ancora nella prima fase, il Brasile è già entrato nella seconda: non c'è più la spudoratezza di negare la pericolosità e, come da noi trent'anni fa, si parla di "uso controllato dell'amianto". Nelle cave a cielo aperto ci si fa però ancora avanti con l'esplosivo: il sistema di "prevenzione", spiegano gli addetti ai lavori, consiste nel far esplodere le cariche prestando attenzione alla direzione del vento. Verificano in sostanza che non punti in direzione dei lavoratori o del centro abitato. E per ridurre la polvere causata dalle macchine scavatrici un operaio spruzza dell'acqua con una pompetta». «Si immagini che razza di prevenzione. È semplicemente pazzesco!», commenta sconcertato Bruno Pesce, a cui vengono in mente , vedendo queste scene, i racconti degli ex operai dell'Eternit della sua Casale che negli scorsi mesi hanno testimoniato al maxiprocesso in corso a Torino per la strage dell'amianto in Italia e che vede sul banco degli imputati il magnate svizzero Stephan Schmidheiny.
Anche la cosiddetta "politica delle porte aperte" è stata esportata dal nord al sud del mondo: «All'epoca i dirigenti di Eternit invitavano la popolazione di Casale Monferrato a visitare la fabbrica per dimostrare la loro tesi della lavorazione "in sicurezza". E lo stesso fanno oggi i loro omologhi in Brasile», ricorda Bruno Pesce, che proprio per questa ragione durante il viaggio nel paese sudamericano ha tentato con la delegazione italiana di fare visita agli operai dell'Eternit di Salvador de Bahia: «Siamo stati accolti da un dirigente, molto cortese e sorridente, che ci ha però invitati a tornare un'altra volta...».  
Il quadro generale resta insomma drammatico, ma da una decina d'anni si è innescato un processo interessante che consente di nutrire qualche speranza per il futuro di questo paese. Soprattutto se si pensa che fino al 1996 non era stato censito un solo caso di mesotelioma. Negli ultimi anni ne sono venuti alla luce 2.500, anche se naturalmente si tratta di un dato molto distante dalla realtà: «Manca ancora un'analisi epidemiologica federale e in certe regioni le malattie da amianto non vengono nemmeno diagnosticate. -spiega Pesce- Ci sono poi i risarcimenti accordati dalle imprese ai familiari delle vittime per farli tacere, una tecnica utilizzata a suo tempo anche in Europa, non in Italia ma in Belgio per esempio. C'è dunque un'enorme zona d'ombra, un oscuramente totale che renderà quasi impossibile recuperare i dati del passato, ma c'è la speranza è di ottenere una fotografia più nitida della situazione nel corso dei prossimi anni».
Anche grazie al movimento di lotta che si sta sviluppando. Un movimento nato soltanto nel 2000 nella città di Osasco, un sobborgo di circa un milione di abitanti della cintura di San Paolo fondato da immigranti italiani provenienti dall'omonima località della provincia di Torino dove per decenni ha funzionato uno stabilimento Eternit. Il sindaco di Osasco, dopo aver sponsorizzato una conferenza internazionale con decine di delegazioni di vari paesi, emanò un'ordinanza che vietava l'uso dell'amianto sul territorio comunale, sull'esempio di quanto fece nel 1987 l'allora sindaco di Casale Monferrato Riccardo Coppo. «Osasco -commenta Bruno Pesce- è un po' la Casale del Brasile: c'era l'Eternit che fu rasa al suolo con la dinamite e al suo posto fu costruito un supermercato. L'ordinanza del sindaco ha fatto da apripista a iniziative legislative simili nel resto del paese, a partire dall'importante stato di San Paolo».
Ma la lotta all'amianto è tornata prepotentemente di attualità in Brasile nel 2005, quando la Corte suprema costituzionale ha respinto la richiesta dei produttori di amianto di dichiarare quelle leggi incostituzionali. «Questa decisione ha dato nuovi impulsi al movimento dopo che il processo di messa al bando si era fermato per alcuni anni. Anche grazie a questa sentenza, nella magistratura è cresciuta la consapevolezza, a tal punto che si sono moltiplicati gli interventi sui luoghi di lavoro fuori norma». È insomma in atto, «una presa di coscienza generale», che ha già prodotto alcuni progetti di legge per un divieto a livello federale che sono attualmente all'esame del Parlamento, dove tra l'altro gli ospiti italiani sono stati ricevuti ed hanno potuto leggere le rivendicazioni uscite dal seminario di Brasilia riassunte in un omonimo Manifesto con sui si chiede al Congresso nazionale di decretare la definitiva e totale messa al bando della produzione mineraria, dell'industrializzazione, del trasporto, della commercializzazione, dell'importazione, dell'esportazione e dell'uso delle fibre di amianto e dei prodotti che le contengono, in tutto il territorio nazionale brasiliano.
Anche per il Brasile si avvicina l'ora di cambiare canale.

Pubblicato il

22.10.2010 03:00
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