Prima il danno, ora la beffa. Le vittime dell’amianto in Brasile non hanno pace. Pur sapendo dei rischi a cui erano esposti i loro lavoratori, per decenni le sussidiarie della Saint-Gobain (fra cui la Eternit di Stephan Schmidheiny) hanno taciuto. Centinaia di persone malate reclamano da anni un giusto indennizzo. Molte di loro, nel frattempo, sono morte. La multinazionale francese, invece, continua a giocare al ribasso. Offre agli ex lavoratori – riuniti nell’Associazione brasiliana esposti all’amianto (Abrea) – degli indennizzi «offensivi, umilianti e irrispettosi», dice Fernanda Giannasi nella seconda e ultima parte dell’intervista concessa ad area. Fernanda Giannasi, il presidente dell’Associazione brasiliana di medicina occupazionale ha stimato in 300 mila il numero di persone esposte all’amianto in Brasile. Quante sono le persone a cui è stata diagnosticata una malattia legata all’inalazione di polveri di amianto? E quanti ex lavoratori rappresenta l’Abrea? Il numero delle vittime generalmente avanzato dalle imprese è di 2’500 persone. L’Abrea – che conta su quattro gruppi consolidati e su altri gruppetti che si stanno organizzando – rappresenta circa 1’500 ex lavoratori. L’80 per cento di loro ha lavorato nello stabilimento Eternit di Osasco (San Paolo), il resto negli stabilimenti della Brasilit (vedasi box sotto). Quando hanno cominciato ad essere indennizzate le vittime dell’amianto in Brasile? L’Abrea stava organizzando da un paio d’anni gli esposti dello stabilimento Eternit di Osasco (chiuso nel 1993, ndr) e alcune di loro avevano già introdotto delle cause civili per ottenere dei risarcimenti adeguati quando, fra il ’97 e il ’98, la Eternit ha cominciato ad offrire agli ex lavoratori malati degli indennizzi compresi fra i 5 e i 15 mila real (al cambio odierno, fra i 2’200 e i 6’600 franchi, ndr). La metà delle 1’200 persone che ero riuscita ad organizzare ad Osasco – molte di loro con una malattia già diagnosticata – non ci ha pensato due volte ad accettare degli accordi che prevedevano l’estinzione della responsabilità della ditta nei confronti dei firmatari. Non avevano fiducia nell’Abrea, dicevano che un’associazione così “povera” non avrebbe mai potuto ottenere qualcosa dalla multinazionale. Io ho cercato di convincere questi ex lavoratori a non firmare, ma loro non hanno creduto nelle nostre possibilità. Dicevano: meglio ottenere poco ma subito piuttosto che aspettare anni sperando in una giustizia corrotta. Questi indennizzi contemplavano anche una sorveglianza medica? Sì. E la sorveglianza medica degli ex lavoratori e dei lavoratori è affidata a quei medici che mai avevano rilasciato dei certificati di malattia professionale per esposizione all’amianto. Questi medici sono sempre stati dei complici delle imprese. Uno di loro mi ha raccontato di aver effettuato dei controlli nello stabilimento della Eternit a Osasco, ma la casa madre svizzera decise che i risultati non dovevano essere resi noti. In poche parole la strategia della multinazionale era la seguente: se dei lavoratori ci fanno causa e vincono, noi li paghiamo; ma se nessuno adisce le vie legali, noi non diciamo nulla. Pertanto i dottori dell’impresa non dovevano rilasciare nessun certificato, pur sapendo – come lo sapeva questo medico che lo ha confermato in un libro scritto da un sociologo statunitense – che c’erano dei lavoratori malati a causa della polvere di amianto. In dicembre sono fallite le trattative fra l’Abrea e le sussidiarie della multinazionale francese Saint-Gobain (la Eternit, la Brasilit e la loro joint-venture Eterbras). Lei ha definito «offensiva, umiliante e irrispettosa» la proposta delle imprese. Perché? Le multinazionali erano disposte a pagare un risarcimento ridicolo di 5 mila real (2’200 franchi) alla maggior parte degli ex lavoratori, per i quali noi rivendicavamo invece 20 mila real (8’800 franchi). L’Abrea ha preteso degli indennizzi compresi fra i 20 mila real per gli ex lavoratori con placche pleuriche non invalidanti (la patologia da amianto meno grave, ndr) e i 120 mila real (poco meno di 53 mila franchi) per chi è affetto da mesotelioma, cancro polmonare o asbestosi (le patologie più gravi, ndr). Volevamo inoltre – e lo abbiamo ottenuto – che il Sindicato dos Trabalhadores nas industrias de Ladrilhos hidraulicos e productos de cimento de Capivari non prendesse parte ai negoziati sugli indennizzi. E questo perché il sindacato – che dall’’85, quando è stato creato, è sempre stato manipolato dai dirigenti della Saint-Gobain – pretendeva a torto di rappresentare gli ex lavoratori ammalati, mentre invece rappresenta solo i lavoratori non ancora malati. Dopo il fallimento delle trattative l’Abrea promuoverà altre cause civili per ottenere indennizzi adeguati? Sì. Per ora sono circa 600 le azioni in giustizia (tuttora in corso) promosse dalle vittime con il sostegno dell’Abrea. Ne vorremmo promuovere altre, ma molti ex lavoratori – per di più malati – non hanno voglia di imbarcarsi in azioni legali che possono durare fino a 10 anni. Non hanno nessuna fiducia nella giustizia. Preferiscono raggiungere subito un accordo con le imprese, non da ultimo per non essere costretti a pagare per anni degli avvocati. Per me si tratta di un grave dilemma perché, pur capendo le loro ragioni, vedo anche quanto queste persone sono depresse. In un’intervista rilasciata un anno fa a Multinational Monitor lei affermò che il problema più serio in America latina per quanto riguarda l’amianto è «l’invisibilità sociale delle malattie» che esso provoca. Cosa intendeva e come si manifesta questa invisibilità in Brasile? Mi riferivo al fatto che molte persone con un mesotelioma (tumore della pleura o del peritoneo tipico da esposizione alle polveri di amianto, ndr) o affette da altre malattie da amianto muoiono senza sapere nulla delle vere cause dei mali che li affliggono. Le ragioni sono diverse: vanno dall’impossibilità per la stragrande maggioranza dei malati di pagarsi visite mediche specialistiche all’assenza di studi epidemiologici sui lavoratori esposti; dal lungo periodo di latenza delle malattie (un mesotelioma si manifesta fra i 20 e i 40 anni dopo l’esposizione, ndr) all’assenza di piani di sorveglianza medica per ex lavoratori esposti licenziati e pensionati; dal numero assolutamente insufficiente di ispettori che visitano le fabbriche che utilizzano amianto all’omissione di informazioni corrette alle vittime e ai loro famigliari da parte di molti medici. Il risultato di tutto questo è che in Brasile le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto non sono quasi mai individuate e, quindi, compensate. 2 - fine (la prima parte è stata pubblicata in area, n. 11, 5 marzo 2004) Con la proibizione dell’amianto in buona parte dei paesi industrializzati dai primi anni ’80, quelli del Sud sono diventati un mercato essenziale per le multinazionali della fibra cancerogena. Il Brasile – che è anche il quarto produttore mondiale di crisotilo, o amianto bianco – è un caso esemplare. I grandi gruppi che dalla fine degli anni ’30 hanno estratto e manipolato amianto nel paese sudamericano si stanno però poco a poco liberando di un fardello che comunque continuerà a pesare ancora per decenni sulle spalle di migliaia di ex lavoratori. Oltre che nella miniera di crisotilo di Minaçu, gran parte del minerale ancora usato in Brasile dai grandi gruppi stranieri viene manipolato negli stabilimenti che la Eternit mantiene negli stati di Bahía e Paraná (nel ’93 era stata chiusa la fabbrica di Osasco). La Eternit è una sussidiaria della multinazionale francese Saint-Gobain che controlla l’estrazione dell’amianto (attraverso la ex Sama, ora parte della stessa Eternit, concessionaria della miniera di Minaçu), la distribuzione della materia prima e la produzione di materiale in amianto-cemento (ora solo attraverso la Eternit, ma fino a poco tempo fa anche con le sussidiarie Brasilit, Eterbras che usano già fibre sostitutive). Anche la multinazionale austriaca Richard Klinger continua ad usare amianto per produrre guarnizioni ad uso industriale e automobilistico. Oltre che da quest’ultima e dalla Eternit (che però ha già progetti di sostituzione), la fibra è ancora usata da imprese brasiliane come la Thermoid (freni), la Precon e la Casalit (prodotti in amianto-cemento), da piccole aziende locali che fabbricano freni e guarnizioni per automobili e da multinazionali del settore chimico. Nel paese sudamericano la fibra è presente in migliaia di prodotti, soprattutto della costruzione (tetti, serbatoi per l’acqua), così come in freni, guarnizioni, coperture, ecc. Finora l’amianto è stato messo al bando in due Stati (Rio de Janeiro e Rio Grande do Sul) e in diciotto municipi. Altri 26 progetti di legge sono in discussione in altri Stati e municipi del paese. Un progetto di legge per mettere al bando l’amianto in Brasile (sull’esempio di quanto successo in Cile e in Argentina) è fermo da tempo al Congresso federale. Le resistenze più forti alla proibizione del minerale provengono dallo Stato di Goiás, e in particolare dalla città di Minaçu dove si trova la più grande miniera di crisotilo dell’America latina. In questa cittadina di 34 mila abitanti oltre 800 padri di famiglia lavorano nella (o dipendono in qualche modo dalla) miniera. Nello stato di Goiás l’amianto è difeso da popolazione, impresari, politici di destra e sinistra e persino dai sindacati che lo considerano una fondamentale fonte di occupazione. Stephan Schmidheiny non perde occasione per presentarsi come il “pioniere” mondiale dell’abbandono dell’amianto a livello mondiale. Tre anni dopo aver assunto la direzione della Eternit, nel ’78 il colosso dell’amianto-cemento avviò una riconversione della produzione sostituendo progressivamente il minerale cancerogeno con altre fibre. Anche Schmidheiny ha respirato polvere di amianto, e proprio nello stabilimento di Osasco (vedasi box sopra) di proprietà del papà. Era il 1969 e il giovane studente finì alla periferia di San Paolo a farsi le ossa. «Portavo sacchi di amianto in una delle fabbriche del gruppo e scaricavo le fibre nel miscelatore, respirando profondamente a causa dello sforzo», ha raccontato pochi mesi fa alla rivista brasiliana “Epoca”. Trentacinque anni dopo lo stage ad Osasco, Stephan Schmidheiny non ha più nessun legame formale con la Eternit. Dopo esserne stato direttore per 14 anni, nell’’89 vende le operazioni svizzere alla Holcim controllata dal fratello Thomas, mentre le succursali estere – controllate interamente o parzialmente dalla Eternit – man mano vengono chiuse o vendute (nel caso del Brasile alla Saint-Gobain nel ’93, vedasi box sopra). L’uscita dall’amianto non porta alla rovina il miliardario svizzero, anzi. Diversificando gli investimenti (Abb, Ubs, Nestlé, ecc.), ricostruisce rapidamente le basi della sua fortuna. Nella prima metà degli anni ’90 fonda GrupoNueva, società basata in Costa Rica che diventa leader regionale nella produzione di tubi di plastica e di altri materiale da costruzione. Convinto che «le imprese più innovatrici, e anche quelle più redditizie a lungo termine, sono quelle coinvolte in questioni sociali e ambientali» (“Epoca”, n. 285, 3 novembre 2003), Schmidheiny lo scorso ottobre ha trasferito il controllo azionario del gruppo (che ha un patrimonio di 2,2 miliardi di dollari) a Viva Service, società il cui scopo è di sostenere Avina, fondazione che finanzia progetti sociali e ambientali in 12 paesi dell’America latina. Ma l’ultimo gesto filantropico di Schmidheiny ha suscitato sdegno fra le vittime dell’amianto in Brasile. Joao Francisco Grabenweger ha 77 anni. Ne ha passati 38 (dal 1951 al 1989) lavorando per la Eternit (quando era ancora di Stephan Schmidheiny) a Osasco. Di origine austriaca, fa parte dei 1’200 ex lavoratori della multinazionale svizzera che l’Abrea ha organizzato nella città paulista. Affetto da asbestosi, lo scorso 24 dicembre ha scritto a Schmidheiny che conobbe ad Osasco quando il futuro magnate svizzero era uno stagiaire di papà. Ecco alcuni estratti della sua lettera: “Egregio dottor Stephan Schmidheiny, (...) noi ex collaboratori della Eternit di Osasco, che abbiamo lavorato completamente ignoranti della concentrazione di amianto, aiutando con dedizione e grande orgoglio a costruire l’impero dell’amianto-cemento della famiglia Schmidheiny, cosa abbiamo ricevuto dalla nostra Eternit? Una bomba ad effetto ritardato che si è impiantata nel nostro petto. Allego una fotografia dei sopravvissuti di Osasco per vedere se il signore si commuove contemplando le carcasse umane che sono diventati i vecchi collaboratori dei tempi d’oro della Eternit. Chiediamo al signore, presentato dalla rivista “Epoca” come un impresario moderno, magnanimo e giusto (...), di donare, quindi, alcuni milioni di dollari della sua fondazione all’Abrea affinché siano distribuiti fra i soci secondo il grado di invalidità che presentano. Questi soldi non aumenteranno la sopravvivenza di nessuno, certo, però servirebbero a rendere un po’ più allegri questi esseri umani torturati da notti interminabili e di veglia a causa della mancanza di aria, del soffocamento e dell’angoscia per il futuro. (...) Forse il signore non lo sa, ma noi vittime di Osasco ancora vive siamo una garanzia di impiego per quelli che difendono l’attuale Eternit contro i suoi ex collaboratori e che ci umiliano quotidianamente con offerte di indennizzo ridicole ed offensive per il nostro stato di salute (...). Faccio appello a lei, in nome delle vittime dell’amianto di Osasco, perché promuova la tanto sognata giustizia per chi ha dato la sua vita per il signore, la sua famiglia e la sua impresa.”

Pubblicato il 

19.03.04

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