Lutto

Lo chiamavano “Barba svizzera”. Era il soprannome che gli avevano dato i partigiani piemontesi quando nel 1944 decise – lui, studente svizzero che avrebbe potuto starsene al riparo dalla guerra e pensare solo agli studi – di entrare nei Servizi Ausiliari delle Formazioni partigiane “Giustizia e Libertà” per contribuire alla lotta contro il nazifascismo. Quel giovane idealista e generoso, poi divenuto medico, era il dottor Sandro Pedroli, che pochi giorni fa, martedì 18 giugno, si è spento nella sua abitazione a Zurigo, dove ha vissuto e lavorato nella continuità di un forte impegno sociale e umanitario.

 

Aveva da poco compiuto i 96 anni. La sua è stata un’esistenza fuori dal comune, che però lui raccontava con modestia, senza retorica o compiacimento. La passione politica che lo muoveva era la stessa che animò anche suo fratello minore, il famoso Guido Pedroli, filosofo e storico del socialismo nella Svizzera italiana, morto prematuramente nel 1962.


La famiglia Pedroli è originaria di Bodio. Alla fine del 1923 emigra a Torino perché il padre Ernesto ha assunto la rappresentanza della Linoleum per il Piemonte. «Eravamo Fremdarbeiter», diceva Sandro. In realtà, per tutti gli anni Venti i Pedroli godono di un certo benessere. Al momento del trasloco, Sandro ha sei mesi; Guido nascerà nel 1928. È con l’avvento della grande crisi del 1929 che le cose non vanno più tanto bene. Seguono anni economicamente difficili per la famiglia Pedroli. Sandro ne parlava senza reticenze.


Intanto il fascismo si è fortemente radicato nella società italiana. I due fratelli Pedroli frequentano la scuola pubblica e mal sopportano sia l’indottrinamento sia l’inquadramento paramilitare (prima balilla, poi avanguardisti) che il regime mussoliniano impone agli scolari. Durante la guerra civile in Spagna, Sandro si informa, legge i giornali. E istintivamente parteggia per i repubblicani.


Rimane anche impressionato dalle cronache di un famoso processo a tre comunisti slavi, condannati a morte a Trieste, che accolgono la sentenza cantando “L’Internazionale”. In una libreria scopre la “Storia della rivoluzione russa” di Lev Trotsky: è contro Stalin, quindi per la censura fascista va bene. Ma per il giovane Pedroli è un manuale di formazione politica che gli fa nascere una grande ammirazione per l’autore.
Nel 1944 Sandro scopre che una delle cliniche che frequenta da studente di medicina è in realtà una centrale clandestina dei partigiani. Il suo professore è uno dei dirigenti del Partito d’Azione, un movimento di ispirazione social-liberale e repubblicana che partecipa alla Resistenza con le brigate “Giustizia e Libertà”. Sandro si fa coinvolgere, il suo gruppo è comandato da Carlo Casalegno (scrittore e giornalista che sarà ucciso nel 1977 dalle Brigate Rosse) e ispirato dal grande storico Franco Venturi (il partigiano “Nada”).


L’abitazione dei Pedroli diventa un punto di riferimento, e anche un rifugio segreto per chi è in fuga. Vi installano un ciclostile con cui stampare i volantini da distribuire clandestinamente. Più di una volta i due fratelli corrono rischi gravi, mettendo in pericolo la propria vita. Sandro recapita armi e fa servizi di sorveglianza armata. Guido esce di notte per scrivere sui muri. Chi viene preso dai fascisti può essere fucilato sul posto. Più di una volta si salvano per puro caso.


Dopo la Liberazione, Sandro completa gli studi di medicina, si sposa (avrà quattro figli), rientra in Svizzera, fa pratica clinica all’ospedale di Bellinzona. Nel 1953 apre uno studio medico a Zurigo, dove diventa “il medico degli italiani” e continua il suo impegno politico nel Partito socialista zurighese. I suoi pazienti spagnoli gli chiedono di presiedere il comitato per l’amnistia politica degli oppositori del franchismo. In campo umanitario si impegna nella Centrale Sanitaria Svizzera, con la quale compie missioni in Vietnam e in Corea. E non poteva, lui che ha vissuto la Resistenza, rifiutare agli ex partigiani di presiedere il loro “Comitato 25 Aprile” di Zurigo.

Pubblicato il 

26.06.19