Esame di maturità in una Scuola professionale. La ragazza entra un po' emozionata e spara un «salve» agli esaminatori, come una commessa di boutique. Il ragazzo entra con il cappellino in testa. Poi comincia il rituale: relazione, analisi di testo, domande, risposte. La prima impressione è che le studentesse e gli studenti di origine straniera siano più aperti alla cultura che non i ticinesi. Non si può generalizzare, è vero: ma  il ragazzo portoghese, la ragazza di origine curda o di madre slava si dimostrano più attenti, culturalmente, dei ticinesi doc. C'è uno studente ticinese, per esempio, che non conosce il significato della parola antisemitismo, forse non legge il giornale. Un altro non sa che cos'è un battistero. Quello del cappellino confonde scenografia con sceneggiatura, però dice di amare il cinema. Il ticinese sceglie, da portare all'esame come lettura personale, il solito Ammaniti, il portoghese presenta Chiedi alla polvere di John Fante. Il primo passa l'acqua bassa, il secondo fa una scelta originale.
Come mai questa differenza di sensibilità? Forse chi è confrontato con una storia personale drammatica matura prima? Chi ha provato il dolore di lasciare il proprio paese, chi ha attraversato territori di desolazione e fatica ha più stimoli affettivi e intellettuali? Chi  sente di avere radici diverse, o mescola varie radici e esperienze di vita, ha una mente più elastica e anticonformista di chi vive a Lugano nel precario benessere del piccolo mondo ticinese? Forse lo straniero, uscito dalla miseria, o peggio dalla guerra, ha più voglia di riuscire ad affermarsi in una società civile.
Poi c'è il tema scritto. Il componimento. Qui si verifica ciò che è già stato rilevato in una recente analisi sull'italiano nei temi di maturità di allievi ticinesi: analisi svolta su temi scritti al Liceo di Lugano tra il 1965 e il 2005. Lo stile della scrittura è cambiato. Il bello scrivere (vocabolario ricco, chiarezza e linearità dell'espressione) non è più un valore. È in atto un processo di osmosi tra scritto e parlato. L'oralità fa irruzione nello scritto, che presenta spesso difficoltà nella punteggiatura, errori d'ortografia, lessico generico, frasi mal formulate, uso difettoso delle preposizioni, scelta povera dei verbi. L'allievo, in generale, ha tendenza a far uso di un italiano generico, di plastica, rifatto sul linguaggio televisivo. Sta alla larga dal concreto. Non prova il  piacere di una pagina fresca. Raramente racconta cose viste con i propri occhi, ricordate con emozione, ascoltate dal vivo. Se deve parlare di solitudine farà un giro di frasi vaghe e moralistiche invece di parlarci dell'uomo che passa per strada e  parla con i cassonetti. 

Pubblicato il 

09.10.09

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